I programmi strategici di prevenzione e cura europei ed americani hanno recentemente concentrato tutte le attenzioni e risorse sullo studio del cervello umano. Numerosi laboratori si stanno muovendo sul fronte delle malattie neurodegenerative.
Ma quali sono le prospettive future per i malati di Parkinson, epilessia e traumi cerebrali?
È tutta italiana la ricerca che ha portato all’invenzione di un microchip (simile a quello che si usa negli smartphone, ma organico e per questo con un limitato rischio di rigetto) che, “parlando” con i neuroni interagisce con loro, stimolando e traducendo i segnali provenienti dalle cellule così da poterli eventualmente modulare, correggendone le risposte anomale. Le reti neuronali adagiate sul microchip vengono stimolate e registrate elettricamente. Il microchip denominato OCST (organic cell stimulating and sensing transistors) è stato messo a punto da un gruppo di ricerca del CNR di Bologna di cui faccio orgogliosamente parte.
L’obiettivo è quello non solo di capire il funzionamento del cervello umano, ma anche di trovare applicazione nella rigenerazione del tessuto nervoso periferico compromesso in incidenti traumatici, attacchi epilettici e Morbo di Parkinson.
Il progetto, sostenuto dall’UE, mira a compiere passi avanti nella diagnosi e nella cura, nella trasformazione dell’impianto da in vitro ad in vivo, e vorrebbe per primo raggiungere i malati di Parkinson; la malattia colpisce ogni individuo di età compresa tra i 55-60 anni, provocando una riduzione dei livelli di dopamina ed un accumulo di proteina come l’α-sinucleina responsabile della degenerazione dei neuroni. Le aree maggiormente coinvolte sono quelle profonde del cervello, che partecipano all’esecuzione del movimento, di qui infatti lo sviluppo di sintomi motori della malattia quali il tremore a riposo, la rigidità, la bradicinesia (lentezza dei movimenti automatici) e, in una fase più avanzata, l’instabilità posturale (perdita di equilibrio).
Emanuela Saracino
*Ricercatrice presso Consiglio Nazionale delle Ricerche