di Maria Cervellera
“I giovani non hanno bisogno di sermoni, i giovani hanno bisogno di esempi di onestà, coerenza ed altruismo”.
Così recitava il Presidente Sandro Pertini in un celebre messaggio di fine anno agli italiani, così recita il vissuto dello straordinario incontro in videoconferenza, promosso e coordinato dal Prof. Remo Lenti, tra i nostri giovani studenti e il Colonnello del Ruolo d’Onore dell’Esercito, Carlo Calcagni.
Alla presenza della Dirigente scolastica, Adele Quaranta, di alcuni docenti del Plesso Tecnologico e degli studenti del triennio di specializzazione Trasporti e Logistica dell’IISS “Leonardo Da Vinci” di Martina Franca, si è assistito ad un momento di alto valore formativo, un momento di crescita e di importante arricchimento finalizzato a quel processo educativo al quale la Scuola, motore immobile, deve tendere.
Chapeau al colonnello Calcagni, bello e muscoloso, che a vederlo sembra uscito da uno di quei film americani in cui i soldati sono dei supereroi, lui che, come ha tenuto a specificare, un supereroe non è.
Ma il film lo ha girato davvero Carlo Calcagni, il suo film, “Io sono il colonnello” (diretto da Michelangelo Gratton), quello della sua vita, in cui, purtroppo, finzione e realtà coincidono, con il risvolto amaro del guerriero ferito, colpito al cuore.
Chapeau al Colonnello che nel Limbo dei condannati a morte resta in piedi, a combattere, senza mai arrendersi, su un campo di battaglia lugubre, tetro, disseminato di violenza, ingiustizie, omertà, diritti lesi.
Chapeau al Colonnello, un ragazzo colto e intelligente, studi liceali, un’educazione familiare rigorosa, una brillante carriera militare in perfetta ascesa, costellata di successi, dove il dovere e il rispetto delle regole si fondono in un equinozio perfetto di ideali nobili e cavallereschi.
Scende nel Tartaro della Bosnia Erzegovina nel 1996 e, durante una missione di pace, salva vite, recupera salme, resti umani calandosi nel baratro, con il suo elicottero, un aeromobile che diventa simbolo di speranza, di pace, di carità. Dall’Empireo alle viscere della Terra, si dona con estrema generosità in uno scenario di morte che solo una profonda vocazione può vincere e brilla la sua divisa, simbolo di quella patria a cui rende umilmente servigio.
Nel 2002 la terribile diagnosi: disfunzione multi organo, disautonomia, ipotiroidismo, cardiopatia, Parkinsonismo, sensibilità chimica multipla, mielodisplasia ed altre decine di patologie invalidanti.
Un quadro clinico devastante causato dalla contaminazione di micro particelle di metalli pesanti.
Una terapia terrificante: trecento compresse al giorno, una flebo lunga quattro ore, sette iniezioni e una dialisi, la plasmaferesi, necessaria per contrastare l’avanzamento della malattia neurologica degenerativa.
Ma il Colonnello è anche un atleta con la A maiuscola, un invictus, uno di quelli che non molla mai, uno di quelli che nella vita ha già vinto, uno di quelli che sul gradino più alto del podio c’è stato davvero, anche prima della sua malattia, portando a casa, in Italia, ori, medaglie e trofei da ogni parte del mondo…. Insomma, un “atleta di vita”, perché, come lui stesso afferma: “Quell’atleta sono io, quell’atleta mi rappresenta tutti i giorni”.
Ed ecco che lo sport diventa una bellissima metafora, da trasmettere, tutti i giorni, ai nostri ragazzi: lo sport diventa impegno, sacrificio, coraggio, lealtà, forza, determinazione, rispetto per gli altri, desiderio di riscatto. Lo Sport diventa salvezza, speranza, redenzione. Una via d’uscita che i beceri, vari tentativi di boicottaggio, da parte delle istituzioni (non ultima la squalifica della procura antidoping a causa dell’uso di alcuni farmaci non considerati salvavita), sembrano voler negare a tutti i costi.
Ne viene fuori l’idea di un’Italia subdola, che vuole imbavagliare, mettere a tacere.
L’Italia… La stessa nazione che Carlo Calcagni ha servito con devozione, ad un certo punto, sembra voltargli le spalle, abbandonarlo al proprio destino o, pur volendo concedere il beneficio del dubbio, sembra comunque voler anteporre la legge di Stato ad una legge ben più alta, quella della coscienza.
Chapeau, quindi, al colonnello che insegna a non arrendersi, che percorre veloce la sua salita, lasciando indietro gli avversari e davanti a quei diciannove minuti “di stacco” sul Terminillo, davanti a sé, c’è solo lo spettro della salute, l’angoscia, la paura di non poter proteggere nel futuro i suoi due figli e sua moglie Chiara; la rabbia per essere stato abbandonato proprio dai suoi compagni e colleghi; la frustrazione, per un’onta subita. Un’ingiustizia profonda che lede la dignità di uomo, di padre e di cittadino per cui l’unica, misera richiesta di riscatto avanzata è stata quella di un risarcimento morale corrispondente ad un euro simbolico accompagnato dalle scuse ufficiali di chi in tutto questo invece c’entra, di chi non ha avuto il coraggio di pagare, di chi fugge davanti alle proprie responsabilità, di chi continua a nascondersi in trincea, di chi ancora non riesce a pronunciare, a lui e alla sua famiglia, una semplice parola: “Scusa”.
Una grande lezione di vita che educa inesorabilmente alla legalità.
Altissima l’attenzione degli studenti, numerose le domande a lui rivolte che hanno prolungato l’incontro oltre l’orario previsto. I messaggi dei ragazzi hanno svelato una profonda empatia che lontana dalla commiserazione, si è tradotta in termini di stima, rispetto, solidarietà, interesse a comprendere, curiosità e si è visto bene quando in punta dei piedi, qualcuno ha rivolto domande puntuali e pertinenti alternandole significativamente ad un profondo, religioso, assordante silenzio.
C’è chi domanda al Colonnello se, alla luce di tutto quello che è accaduto, ripercorrerebbe ancora il sentiero della carriera militare.
Carlo Calcagni scuote il capo e si concilia con grandi sorrisi, tradito a volte dal suo accento barocco che ricorda la bella provincia di Lecce, terra natìa e risponde con un “Si” secco, un “Si” deciso, che non lascia ombra di dubbio.
“SI!” Perché nella vita non si ragiona con i “ma” e con i “se”.
“SI!” Perche la colpa non risiede nelle scelte ma nel peccato di condotte irresponsabili.
“Non dormiranno sereni, saranno morsi dalla coscienza se hanno un’anima!”: la toccante considerazione pregna di sdegno rivolta da un insegnante.
“Che cosa lo ha aiutato a sopravvivere, cosa le dà la forza di andare avanti?” Gli domanda, infine, uno studente.
E il Colonnello conclude, regalando un grande insegnamento, una perla di filantropia utile per sopravvivere, seppur annaspando, in una società in cui l’egoismo dilaga: “La mia famiglia, lo sport e il fatto di poter essere utile a qualcuno cercando di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno”.
Vive la vita giorno per giorno, Carlo Calcagni, aspettando il Sole e vuole essere un riferimento (lui dice propriamente “sfruttato”) da tutti coloro che credono che lui possa essere una risorsa, anche dalla scienza, affinché la sua pira sacrificale non sia vana.
E a chi si interroga riguardo alle coscienze sopite dei veri colpevoli, sarebbe interessante rispondere con l’espressione: “Il sonno della ragione genera mostri” che si legge nella celebre acquaforte di Francisco Goya. Ci auguriamo tutti che alla fine sventoli alto, insieme al tricolore, lo stendardo della giustizia, una giustizia da difendere a tutti i costi, per chi, come noi, nello Stato vuol continuare a credere e ad avere fiducia, perché, come dice anche il Colonnello, “lo Stato siamo noi”.
Visibilmente commossa la Dirigente che incita Carlo Calcagni a non arrendersi, a portare avanti la sua battaglia con la dignità e la grande passione che lo contraddistingue e lo ringrazia, infine, per aver sparso tra i nostri giovani dei semi, semi di speranza, gli stessi che, ne è certa, germoglieranno rigogliosi nel futuro.