Ecco a cosa serve donare sangue: la storia di Alessandro e Raffaele – Lo Stradone

Ecco a cosa serve donare sangue: la storia di Alessandro e Raffaele

Alessandro Segato ha 53 anni e vive a Firenze. Nella sua casa c’è una macchinetta che ogni due settimane attacca alla pancia: dei piccoli aghi spingono sotto la pelle una soluzione gelatinosa, fatta con il plasma umano proveniente dalle donazioni e lavorato da un’azienda specializzata per conto del Servizio sanitario nazionale. Dentro ci sono delle immunoglobuline che gli permettono di fare una vita sana e normale.

Tredici anni fa Alessandro ha scoperto di avere una Immunodeficienza Comune Variabile: è una delle 430 patologie della famiglia delle immunodeficienze primitive. Senza queste cure si ammalerebbe in continuazione come capitava tredici anni fa.

Raffaele Vindigni vive invece a Ragusa. È presidente di United Onlus, la Federazione italiana delle thalassemie, emoglobinopatie rare e drepanocitosi. Suo figlio Giorgio ha appena compiuto 18 anni e vive una vita normale grazie a una trasfusione di globuli rossi ogni mese e mezzo circa. Ha una malattia che si chiama talasso-drepanocitosi, una delle forme di anemia diffuse in particolare in alcune zone di Italia. «

Alessandro e Raffaele hanno in comune la gratitudine verso i quasi 1,7 milioni di italiani che ogni anno si recano nei centri trasfusionali a donare sangue: globuli rossi, plasma o piastrine. In Italia ogni 10 secondi una sacca di sangue viene trasfusa per patologie croniche come le varie forme di anemia o l’emofilia, per tumori e leucemie, per situazioni gravi come incidenti, trapianti, interventi chirurgici. Quasi tre milioni di sacche di sangue e plasma a cui si aggiungono le 860 tonnellate di plasma inviate alle industrie farmaceutiche che le lavorano per farle diventare medicinali emoderivati, come quella gelatina che mantiene in salute Alessandro. Nel 2019 per la prima volta il numero di giovani donatori ha cominciato a salire di nuovo: 213.422 ragazze e ragazzi nella fascia 18-25 anni, 1,6 per cento in più rispetto al 2018. Soprattutto dalla loro disponibilità dipende il futuro delle cure in un Paese come il nostro che invecchia sempre di più.

La versione integrale di questo articolo è stata pubblicata su Corriere della Sera del 21 luglio 2020