Il nome “Martino” deriva da Marte, dio della guerra, e significa “piccolo Marte”. Dandogli quel nome, il padre, soldato divenuto in seguito tribuno militare, si augura che Martino segua le sue orme. Il fato gli dà una mano, in quanto nel 331 d.C. un editto dell’imperatore obbliga tutti i figli dei veterani ad arruolarsi nell’esercito. Il quindicenne Martino entra così nel corpo delle cinquecento guardie imperiali, disponendo di un cavallo e di uno schiavo.
A quei tempi lo schiavo era considerato una cosa, di proprietà assoluta del padrone. Lo sanno in pochi, ma Martino rovescia tale logica e non lo tratta come uno schiavo, ma come amico e fratello, seguendo l’insegnamento di San Paolo che ammoniva: “Non c’è più giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, ma siete tutti una sola cosa in Gesù Cristo”.
In seguito, lo sappiamo tutti, alle porte di Amiens, Martino fa a metà del suo mantello con un povero seminudo e intirizzito dal freddo di un rigidissimo inverno. Gesù stesso, nella notte, gli appare in sogno rivestito della parte del mantello con cui aveva ricoperto il povero, a confermare la validità perenne della parola evangelica: “Ero nudo e mi avete vestito…. Ogni volta che avete fatto ciò a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Che cosa bella: il nome Martino. . . . da simbolo di guerra . . . . diventa simbolo di pace e carità!
Oggi, più che mai, il mondo ha bisogno di carità, perché è la carità la fonte di ogni bene. È sorgente di pace, di giustizia, di comunione, di gioia, di perdono, di fratellanza.
Francesco Lenoci