“Frequentavo il primo anno del Liceo ed ero al seminario di Molfetta, eravamo in 300 durante la messa della notte di Natale, feci la Comunione e tornai a posto ma mi resi conto di ascoltare come una voce che mi diceva ‘non ti lascerò mai’, era il Signore che mi parlava e a quella voce ho affidato la mia vita”. Oggi, 29 giugno, Don Franco Semeraro festeggia il suo 50esimo anniversario sacerdotale, qualche capello bianco in più sulla testa, ma poco è cambiato nel suo vigore, nella sua fede e nel suo amore verso il Signore da quel mercoledì del 1966 quando l’Arcivescovo di Taranto Guglielmo Motolese lo ordinò sacerdote nella Chiesa Madre della Madonna della neve di Crispiano.
Con il vescovo martinese un rapporto filiale e paterno, oltre che di amicizia, di cui Don Franco conserva memoria anche attraverso le lettere dei tempi del seminario. E a chi gli chiede di conoscere l’ingrediente segreto dell’elisir della sua giovinezza, afferma “mi fido ciecamente di Dio e delle persone che ho conosciuto nelle comunità che lui stesso mi ha affidato nel tempo”.
Un sacerdozio vissuto non soltanto nelle sagrestie, fatto di presenza costante nella comunità civile, nella vita politica cittadina e facendosi promotore di quella dottrina sociale che gli è costata anche qualche insofferenza tra coloro che di tanto in tanto lo accusano di eccesso di ingerenza.
Questo è Don Franco Semeraro, intellettuale e uno dei più attivi promotori culturali della città di Martina Franca degli ultimi anni. Nel corso del suo lungo sacerdozio non una crisi di identità vocazionale, ma solo il timore di non sentirsi adeguato ai compiti difficili che, nel tempo, gli sono stati affidati, alle comunità, alle aspettative delle persone e alla difficoltà di sapersi adeguare al linguaggio delle diverse generazioni. Fu Mons. Benigno Papa ad affidargli il compito di restituire centralità alla Collegiata di San Martino, in quella che è poi diventata un’operazione di rilancio valoriale e culturale dell’intera popolazione cittadina che ha consentito di riscoprire tutta la bellezza di quella che oggi è diventata la Basilica di San Martino, monumento di pace riconosciuto dall’Unesco.
Fu una grande opera che vide tutta la città impegnata nel recupero strutturale e architettonico della collegiata, per cui Don Franco rimarrà per sempre nella memoria della città come tra i promotori di una pagina significativa della storia di Martina Franca e delle sue bellezze culturali e religiose.
Sacerdote e uomo di fede ribadisce il suo impegno sacerdotale nello sforzo di svestirsi di autorità per indossare i panni della fratellanza. “L’apertura del cuore della gente – dice Don Franco – ha cambiato la mia esistenza, alle persone interessa che il prete sia vicino a loro e in cinquant’anni ci sono stati tanti episodi di gente comune che ho incontrato lungo il mio percorso. Ho ascoltato le confidenze di tante persone e a loro ho aperto il mio cuore. Così come ho incontrato tante figure autorevoli di sacerdoti illuminati che sono stati e sono ancora oggi un esempio per me. L’ordine sacro – dice – è un sacramento sociale che ti spinge a essere al servizio della comunità e ti abilita a essere profeta”.
Il ricordo più bello della sua giovinezza è di quel 7 dicembre 1965 “ebbi la fortuna di entrare nell’aula del Concilio Vaticano II mentre si celebrava l’ultima sessione pubblica del Concilio, ero diacono e Mons. Motolese mi procurò il ticket di ingresso nella Basilica di San Pietro mentre Papa Paolo VI celebrava la messa di chiusura. E poi al ritorno a Taranto, ero accanto a Motolese, per aprire il ventennio post Concilio, che aprì la strada a una maggiore secolarizzazione della Chiesa. Il Concilio ha cambiato profondamente il clero, la testimonianza e l’esperienza di vita spirituale di ogni fedele per fare della Chiesa antica una Chiesa di popolo pronta a camminare con la gente”. Ma Don Franco ha avuto anche l’onore di far parte del comitato organizzatore per la Diocesi di Taranto nel 1989 in occasione della visita di Giovanni Paolo a Taranto e Martina Franca.
Cosa si sente di dire Don Franco alle nuove vocazioni? Dobbiamo essere contenti di un Dio che chiama, che ha fiducia in noi e che investe su ciascuno di noi perché Lui è accanto a noi e non ci lascia mai soli, il segreto della vita non è nella riuscita delle cose fatte, ma nel sentirsi voluti bene dal Signore. Dobbiamo affidarci a Lui totalmente”.
o.cri.