Prima dell’avvento dell’età moderna funzionava così. Stato e Chiesa erano in funzione complementare: ognuno, nei suoi precisi ambiti di competenza, si sforzava di svolgere al meglio il compito al quale era chiamato. Prima della nascita degli Stati, addirittura, era la sola religione, a svolgere funzione di ordine sovrastatale in grado di garantire l’ordine civile. In alcuni stati orientali, se ci pensiamo un po’, funziona ancora così. Oggi si invoca la laicità dello stato e delle istituzioni, intesa non tanto come principio guida, quanto come repulsione totale di tutto ciò che riguarda ogni qualsivoglia riferimento religioso, quasi come se tutti i mali del mondo fossero causati dalla Chiesa stessa. Potere dei media! Come si dovrebbe comportare ognuno di noi quando le istituzioni statali e la politica si perdono nella propria autoreferenzialità, dimenticandosi completamente del “povero cristo”, nel senso dialettale del termine che dal latino “pauper Christi” trae ispirazione. E quando anche i luoghi simbolo della democrazia raggiunta (sala del consiglio comunale), simbolo della rimembranza dell’agorà greca (lo stradone) si trasformano in luoghi della discordia e del mero pettegolezzo, allora qualcuno dovrà intervenire. I cittadini? No, essi sono stati sapientemente addormentati dal cloroformio, così come avviene nelle rapine ai cani da guardia. I giornalisti? Con tutto l’impegno che essi ci mettono ci si accorge che nessuno legge più i giornali, quei pochi che ancora lo fanno sono distratti dal pregiudizio e dalle distorsioni mentali del proprio presuntuoso sapere. Allora, quale occasione migliore della processione del Corpus Domini. Si, perché in questa città solo le processioni riescono creare una qualche cosa di indescrivibile. Perché la Chiesa non è soltanto messe e riti, ma è anche testimonianza nella vita quotidiana e perché no, anche attinenza a quelli che sono i temi della gestione della cosa pubblica. Fino ad ora la “ribellione” a questo lento, ma inarrestabile declino cittadino, era arrivata solo dal solo mondo della cultura, ma occorre aggiungere il coraggio del clamore. Ecco allora il genio, il profeta direbbe qualcuno, ricordando il corretto significato della parola di “colui che parla davanti”, Mons. Franco Semeraro rettore della Basilica di San Martino. Dalla scalinata della Basilica al termine della processione del Corpus Domini ha voluto lanciare ancora una volta l’allarme per una città alla rovina. Sono parole dure quelle di Don Franco, penetranti, ma che descrivono perfettamente il momento storico. Dice Don Franco: ‹‹Stranamente Martina Franca si sta isolando, si sta chiudendo, sta alzando intorno a sé una specie di cortina grigia e perciò si sta impoverendo. Il colle di San Martino viene sempre meno frequentato, meno ambito. La qualità della vita lascia sempre più a desiderare; c’è un arretramento progressivo di ammirazione, di simpatia verso questa città, una dolorosa e pericolosa forma di marginalizzazione. Vi sono – continua don Franco – ormai evidenti indicatori che andrebbero analizzati in maniera più approfondita: si è quasi totalmente fuori da finanziamenti per il rilancio della città, calano gli investimenti, non si realizzano opere pubbliche di significato da decenni, vi è una paralisi dell’ edilizia, il comparto tessile ha il fiato grosso. La povertà bussa ormai alla porta di tante famiglie, mentre sta crescendo il numero dei senza lavoro.
La città si sta rassegnando ad una forma di governabilità di profilo mediocre, nella quasi paralisi degli organi istituzionali della democrazia civica.
Sarebbe pericolosa – dice Don Franco Semeraro – la scelta che a volte tenta molti della comunità cittadina: fare da sé, bastare a sé, darsi risposte autonome, annullare il confronto e il dibattito.
Si evita di chiedere conto dell’operato di chi è preposto a servizio del bene pubblico e si preferisce non muovere le acque stagnanti, in una ritualità democratica ripetitiva, senza originalità. Si indurisce la corteccia della autoreferenzialità. La città si è quasi assuefatta al non compiuto, all’arrangiato, al brutto, al non funzionale, a porre gesti, scelte inadeguate per la modernità. In molti si ripete che così non si va da nessuna parte, ma non si ha il coraggio determinato e profetico di dire “ basta!”. Certo – ammette Don Franco – anche la stessa presenza cristiana in città deve rivedere la sua capacità di presa, la sua forza di incisività. Va indubbiamente rivisitato lo stile eucaristico delle nostre parrocchie, a cominciare da quella in cui sono pastore.
Ci sfugge l’arcipelago giovanile che evidenzia tutta la crisi dell’educare oggi. Forse – conclude – è l’ora di rimettere insieme le risorse cristiane, culturali, laiche della città per ri-leggere, non sporadicamente ed emotivamente, questo nostro vissuto, queste nostre difficoltà. Questo Pane, che è il Corpo di Gesù, ci sollecita a raccontarci storie di amore, di servizio per il bene di tutti; storie di incontri e di progetti, perché la sera non avanzi oltre››.
Ottavio Cristofaro