Riportiamo di seguito una nota stampa a firma del Laboratorio “La città possibile”.
La ideazione e la creazione di un Ecomuseo in Valle d’Itria dovrebbe essere la naturale e ideale evoluzione culturale ed economica dello sviluppo di un comprensorio territoriale dalle alte e riconosciute valorialità storico-paesaggistico e socio-culturali. Lo stesso comprensorio che, però, ha dimostrato negli anni di non possedere piena coscienza e consapevolezza di quanto sia importante la conservazione e la tutela del paesaggio nella propria gestione del territorio.
Il comune di Locorotondo, a cui va dato il merito di aver intrapreso una iniziativa di così alto valore culturale, ha lanciato e promosso questa iniziativa in collaborazione con i comuni di Alberobello, Cisternino, Fasano, Martina Franca e Monopoli che fanno tutti parte, tranne Fasano, dell’area vasta della Valle d’Itria.
Questi comuni, pur coinvolti come promotori e gestori del progetto dell’Ecomuseo sin ora non hanno proprio dato prova di saper gestire le trasformazioni dei propri territori in maniera attenta e oculata, anzi talvolta sono stati molto distratti nella salvaguardia e nella valorizzazione dei propri beni paesaggistici.
Ne è testimone, per esempio, la scandalosa trascuratezza e arretratezza del comune di Martina Franca, il comune più importante sulla Valle d’Itria, nella gestione della propria strumentazione urbanistica o lo scarso controllo sul territorio e l’assenza di contrasto all’abusivismo edilizio, adoperati da molti comuni, Locorotondo compreso.
Fare cultura del Paesaggio dovrebbe significare, innanzitutto, riconoscere al territorio un valore culturale e un dinamismo sociale che bisogna saper interpretare e gestire e non, semplicisticamente, reprimere con norme vincolistiche assolutamente rigide o con regolamenti di dubbia interpretazione che, inevitabilmente, hanno scatenato e scatenano ancora, da un lato, trasformazioni edilizie illegali e dall’altro attegiamenti di arbitrarietà nella gestione per il rilascio dei permessi di costruire da parte degli uffici tecnici comunali.
Negli ultimi trent’anni la risposta all’irrigidimento normativo (vincoli paesaggistici) in Valle d’Itria ha prodotto innanzitutto molto abusivismo, per la maggior parte condonato, che nessuno ha avuto il coraggio di bloccare sul nascere e poi tante opere edilizie che se pur conformi alle norme quantitative possono ritenersi assolutamente incompatibili e incoerenti con i segni inconfutabili del nostro territorio.
Riconoscersi identitariamente in un territorio, salvaguardarne gli interessi e gli aspetti e promuoverne lo sviluppo e la valorizzazione, presuppone un progetto collettivo condiviso che deve trovare le proprie origini, prima di tutto in un processo culturale e in second’ordine in finalità anche di tipo economico.
Fino a quando una perequazione territoriale non sarà applicata ai territori rurali per bilanciare l’elevato costo delle trasformazioni di qualità e per il mantenimento dei caratteri tipici del nostro contesto rurale, non sarà possibile garantire un risarcimento a coloro a cui viene imposto il mantenimento e la conservazione onerosa di un certo paesaggio.
Presupposti che, purtroppo, nel nostro territorio sono mancati e non hanno consentito una crescita equilibrata, sana e corretta.
La Valle d’Itria, per la maggior parte, si è trasformata in una piattaforma territoriale su cui chiunque, indirettamente e impropriamente identificato quale tutore di paesaggio, ha promosso la propria interpretazione di architettura rurale con tipologie e materiali variegati, piuttosto che con interventi di qualità che potevano costituire un valore aggiunto al contesto e soprattutto costituire una integrazione coordinata con il resto, proprio nella logica del paesaggio.
Così come è mancata anche l’attenzione pubblica al rapporto paesaggistico tra città e campagna, soprattutto da parte dei comuni di Martina Franca e Cisternino che hanno continuato a costruire sul margine della città e sulla Valle d’Itria senza alcun problema e senza valutare, attraverso specifici piani di dettaglio, la delicata interazione paesaggistica.
Per fare un esempio Martina Franca, addirittura, non ha ancora adeguato il proprio vecchio Piano Regolatore Generale al piano paesistico regionale (P.U.T.T.) e non possiede nemmeno la perimetrazione degli ambiti costruiti, obbligatoriamente prevista dalla delibera regionale di approvazione del Piano Paesistico del dicembre 2000.
Si comprende bene che un po’di coerenza e un po’ di rigore metodologico da parte dei soggetti pubblici interessati sono necessari nella gestione del proprio territorio e del proprio paesaggio per essere credibili nella promozione di un progetto come L’Ecomuseo della Valle d’Itria.
E’ indiscutibile che la promozione di una iniziativa pregevolissima come l’Ecomuseo presupponga indispensabilmente sensibilità e buongoverno nella gestione ambientale del territorio di tutti i comuni coinvolti.
A giudicare dai risultati così non è, e non è nemmeno difficile constatare, tra i comuni promotori, anche forti differenze di omogeneità comportamentale in fatto di efficienza e sensibilità amministrativa verso la gestione corretta e sostenibile del territorio.
Solamente il comune di Alberobello sta perseguendo da anni una rigorosa politica culturale applicata alla salvaguardia e alla valorizzazione del territorio, per la verità incentrata più sul centro urbano che sull’agro, con risultati discreti.
Durante il convegno sull’Ecomuseo della Valle d’Itria organizzato dal comune di Locorotondo il 23 maggio 2009 è emersa la possibilità che possa avvenire un allargamento ulteriore dell’ambito dell’Ecomuseo (da sei comuni a nove) coinvolgendo altri tre nuovi comuni, Castellana Grotte, Grottaglie e Noci.
A tal proposito è importante considerare che i comuni di Castellana Grotte, Fasano, Grottaglie, Monopoli e Noci, pur importanti dal punto di vista paesaggistico e ambientale con la Valle d’Itria non c’entrano proprio nulla e rischiano inopportunamente di appesantire la gestione di un contesto e di un procedimento (amministrativo, urbanistico, sociale, finanziario, ecc.) già di per sè assai complesso.
La creazione dell’Ecomuseo della Valle d’Itria, allargata addirittura a nove comuni, se da un lato amplificherebbe le interferenze territoriali, alimentandone apparentemente l’importanza, dall’altro introdurrebbe complicazioni di ordine gestionale su di un comprensorio che proprio omogeneo non è e che possiede profonde differenze identitarie forti e distinguibili.
E’ comprensibile la corsa di molti comuni a fare proprio il marchio della Valle d’Itria per motivazioni di ordine finanziario e di mercato nonché per ragioni di promozione territoriale, ma non si può accettare lo spostamento del naturale baricentro della Valle d’Itria, allocato tra i comuni di Cisternino, Locorotondo e Martina Franca, in zone assolutamente estranee e disomogenee territorialmente.
Le interazioni e i legami con l’Ecomuseo della Valle d’Itria potrebbero essere gestite egregiamente e lo stesso già da uno strumento approvato che si chiama “Piano Strategico” e non c’è bisogno di doppiare strumentazioni già esistenti.
Ci interessa applicare i nostri sforzi su un territorio omogeneo per raggiungere risultati concreti e circostanziati attraverso processi territoriali ed economici in cui sono coinvolte le risorse culturali e imprenditoriali locali tipiche della Valle d’Itria o attivare mastodontici e idealistici programmi di sviluppo territoriale privi di capacità gestionale e interessanti solo per finanziare studi e ricerche di indubbio valore scientifico, ma incapaci di attivare concreti sviluppi?
E’ importante tener conto che questi paesaggi così importanti e irripetibili fatti di pietra possiedono una storia di uomini. Gli stessi che oggi pur riconoscendo l’importanza culturale del progetto, richiedono coerenza e rigore metodologico nel processo, rivendicano il ruolo attivo nelle scelte e rigettano colonizzazioni e speculazioni di ogni sorta.
Sarà importante partire con il piede giusto cercando di non ripercorrere gli errori del passato.