L’AQUILA – Sta all’ombra corta dei salici, sul piazzale di cemento. “Siamo appena a maggio e la
tenda è già un forno. Questa estate saremo come San Lorenzo, sulla graticola”. Claudio Bartolini,
pensionato Telecom, è uno dei 33.457 aquilani che, un mese dopo il terremoto, vivono in tenda e
non sanno assolutamente quando potranno uscirne. “Al mattino c’è freddo e dopo due ore di sole
in tenda non si respira più. Si sta qui e si aspettano notizie che non arrivano. Nessuno ti sa dire
come sarà il nostro futuro”. Tendopoli Italtel 2, si montano altri gabinetti chimici. Un signore arriva
in macchina. “Ho portato mia moglie in una pensione al mare. Non c’è servizio cucina, ci facciamo
da mangiare noi. Ma a 70 anni in questi gabinetti strani non riusciva più a entrare. Rischiava un
blocco intestinale”. Tendopoli di Collemaggio, nel prato della basilica di Celestino V. “In tenda
sembra di essere sulle sabbie mobili. Quando le hanno montate c’era già l’erba alta e con la
pioggia e il primo caldo è marcita. Sotto c’è una gran poltiglia, c’è una puzza tremenda”.
Non è facile vivere nelle città di tela. I primi giorni te la cavi, perché hai ancora dentro la grande
paura. Qui, se la terra trema, non ti cade nulla in testa. C’è il caldo della stufetta, ci sono i
maccheroni e le cotolette preparati dai volontari. “Un mese dopo – dice Claudio, imbianchino che
non trova più case da dipingere – ti chiedi: mi sembra di avere già passato una vita qui dentro e
sono passati solo 30 giorni. Come farò a restarci, se va bene, fino all’autunno?”. Nella tendopoli di
piazza d’Armi ci sono cartelli che fanno capire quali saranno i problemi dei prossimi giorni.
“Giovedì alle ore 23,30 sarà effettuato un trattamento anti zanzare e altri insetti. Siete invitati a
chiudere le finestre e gli ingressi delle tende”. Ancora c’è tanta neve, sul Gran Sasso e sul Silente,
ma il caldo fa già paura. In altri terremoti le tende sono state usate solo nella prima emergenza.
Presto sono arrivate le roulottes e poi le casette prefabbricate. C’erano i gerani, nelle case di legno
di Colfiorito in Umbria, e chi vi abitava ha potuto vivere con dignità i due o tre anni necessari alla
ricostruzione della sua casa.
Qui si è deciso che invece si aspetteranno le case “vere”, sia pure prefabbricate. Sei mesi almeno
di attesa, ma poi si scopre che i soldi saranno dati in parte quest’anno e in parte nel 2010.
Qualcuno dovrà aspettare quasi due anni in tenda. “Vivere così per molti mesi – dice Demetrio
Egidi, direttore della Protezione civile dell’Emilia Romagna, che guida piazza d’Armi – è senza
dubbio difficile. Le tendopoli resistono solo se hanno numeri non altissimi. Bisogna ridurre le
presenze altrimenti si rischiano tensioni. Si litiga in un condominio con tutti i confort, immaginiamo
in una tendopoli”.
Nei primi giorni dopo la scossa ci furono quelli che Stefania Pezzopane, presidente della
Provincia, chiama “i fuochi artificiali”. “Facciamo questo e facciamo quello, disse il governo, e tutto
sembrava risolto. Adesso scopriamo che i soldi saranno dati con il contagocce e fino al 2032.
Forse mia figlia potrà vedere la nostra casa ricostruita”. Oggi all’Aquila l’entusiasmo per il governo
sembra un ricordo. “Bisogna togliere peso alle tendopoli”, dice la presidente. “Il progetto è
semplice: chi ha la casa agibile, deve rientrare. Ma quasi tutte le agibilità sono date a una
condizione: effettuare alcuni lavori. C’è un pilastro da rafforzare, c’è una scala da sistemare… Fai
presto a spendere venti o trentamila euro. Ma per questi interventi nel decreto – noi lo abbiamo
denunciato assieme ai sindaci tre giorni fa – non c’è nemmeno un soldo. E allora si rischia di avere
tendopoli di massa fino all’inverno e anche oltre. Ci siamo confrontati con chi ha vissuto altri
terremoti. In Irpinia hanno pagato anche le suppellettili e le bottiglie di vino rotte in cantina. Noi non vogliamo questi eccessi. Però diciamo una cosa: siamo abruzzesi fieri ma non stupidi. Le case
debbono essere pagate al 100%, come avvenuto in Friuli e in Umbria. Se non paghi tutto, molti
non riusciranno a ricostruire le loro abitazioni. E così, queste che verranno costruite in
prefabbricato, diventeranno case che non saranno più abbandonate. Ci troveremo l’Aquila 2, l’altra
città”.
Un mese dopo, la cosa che più colpisce, nelle strade dell’Aquila, è l’assenza di sirene. Nei primi
giorni erano la colonna sonora costante e non servivano a nulla, perché cento sirene annullavano
le altre cento. Non c’è il terrore delle prime ore ma i volti restano tesi e molti sguardi vuoti. I vecchi,
nelle tendopoli, hanno ormai il loro posto fisso, su una seggiola o su una panchina, come facevano
in paese. La notte gelata e il giorno che scotta hanno fatto aumentare bronchiti, broncopolmoniti e
attacchi d’asma. Per sorridere bisogna entrare nelle scuole sotto i grandi tendoni bianchi. Sono
bravissimi, i bambini. Attorno a tavoli diversi ci sono i piccoli della materna e quelli delle elementari che disegnano o studiano e parlano sottovoce, in queste classi senza pareti. Ci sono i clown come Tric Trac che al mattino sono disoccupati e allora vanno a fare compagnia agli anziani. “I pagliacci – dice Gina – non li avevo mai visti dal vivo. Quando ero piccola arrivava il circo ma noi non avevamo i soldi”.
All’inizio di via XX Settembre, come ogni mattina, c’è la fila di chi aspetta i vigili del fuoco per
essere accompagnato per la prima volta nella casa abbandonata il 6 aprile. “La mia casa – dice
Anna Rita – ha i pilastri tutti storti. Avevo comprato l’enciclopedia Treccani, per i miei figli studenti, e l’ho vista ridotta in poltiglia, distrutta dalle pietre e bagnata dall’acqua entrata dalle finestre aperte. Per un attimo ho guardato fuori. C’erano altri balconi, di fronte. Erano pieni di bambini. Ho visto solo macerie. Per fortuna il vigile mi ha detto che non potevo restare ancora. Mi sarei messa a piangere”.
Fonte: La Repubblica