Quante volte ci siamo fermati a riflettere sul peso delle parole nelle relazioni? E quali insidie possono insinuarsi nelle relazioni di cura, caratterizzate da una evidente asimmetria?
Le pratiche di cura, secondo la prof. Gabriella Gallo, counsellor, possono contenere forme di potere, di dominio. Per questo, l’obiettivo del dott. Felice di Lernia, antropologo e autore del libro “Ho perso le parole. Potere e dominio nelle pratiche di cura”, è quello di diffondere un’autentica cultura della cura, smascherando il rapporto sapere-potere e promuovendo la democrazia intesa come possibilità effettiva, per tutti, di partecipazione al potere. Le parole possono essere, infatti, strumenti del potere e affabulare, confondere. Essere utilizzate, cioè, come strumento di controllo sociale che induce all’omologazione. Le istituzioni educative sono a servizio del potere se puntano sulle conoscenze piuttosto che sulle abilità che si traducono in comportamenti effettivi, se “portano” e non “accompagnano”. Se manca la consapevolezza dell’insegnamento come pratica di cura e del potere delle parole capaci di degenerare in “potere contro” piuttosto che essere “potere per”. L’atteggiamento giusto, per il professor di Lernia, è rappresentato dall’inquietudine verso se stessi e il proprio mondo, generatrice di analisi critica e autocritica, e di flessibilità. La posta in gioco da salvaguardare è la diversità che si traduce in atteggiamento di rispetto dell’altro e della sua storia e nell’ascolto non giudicante.
È stata quindi la “passione per l’inquietudine”, come l’autore stesso ha evidenziato, il motivo del libro che ha, come tema centrale e valore da salvaguardare, la libertà nelle pratiche di cura. Libertà e verità in pericolo in quelle pratiche antropopoietiche (fondate su un’idea di uomo) che considerano l’idea come “effettiva” e non “regolativa” e l’identità come “stato” piuttosto che “processo”. Quello che, in poche parole, è avvento nei regimi totalitari: i nazisti avevano, infatti, un’idea perfetta di uomo da realizzare.
Promuovere la libertà nella cura significa, per questo, aiutare l’altro a comprendere il significato delle sue parole. Capire come l’altro si rappresenta il mondo e non vedere il mondo dell’altro come io me lo rappresento. Funzionalismo, protezionismo e assistenzialismo sono le tre dimensioni del potere nelle relazioni di cura. Un altro aspetto critico è che la cura, nelle biomedicine occidentali, è concentrata sul corpo, tralasciando che il dolore si inserisce nella storia della persona. Chi ha una malattia grave tenderà a dividere la sua storia in un prima (della malattia) e in un dopo. Se la malattia invade la storia, di conseguenza la cura deve essere orientata alla persona nella sua interezza. Ma c’è anche un altro fenomeno, oggi, che è espressione del potere nelle pratiche di cura: la patologizzazione di alcuni comportamenti ridotti a sindromi “curabili”. All’esposizione dell’autore è seguito un acceso dibattito che è stato espressione dell’attualità e della ricchezza dei contenuti proposti in grado di aprire infinite porte piuttosto che dare risposte definitive, il tutto assolutamente in linea con gli ideali democratici che hanno animato l’incontro e che hanno ispirato la stesura del testo dell’autore.
Annalisa Scialpi