Il sessantotto, secondo Antonio Scialpi, ha avuto un effetto boomerang: ha infatti lasciato spazio a ciò che voleva combattere. Un anno emblematico caratterizzato dalla rivoluzione della parola (si ricordi la famosa “Lettera a una professoressa” degli allievi di don Lorenzo Milani), dall’occupazione delle Università. Sono eventi che segnalano lo scoppio delle contraddizioni che portano alla rottura con la fase storica precedente. Siamo negli anni del boom economico e anche di grandi figure della storia: i Kennedy, Giovanni XXIII, Krusciov. Ma cosa volevano, in realtà, i sessantottini? Il loro scopo principale, il bersaglio delle loro critiche e dei loro interventi è la critica dell’autorità, unita al tentativo di abbatterla. E che ha prodotto la necessità, oggi, di ritornare a un pensiero forte in cui l’agire prevalga sul fare.
Per il Sottosegretario di Stato Alfredo Mantovano l’attacco all’autorità ha prodotto come conseguenza più eclatante la caduta dell’etica della responsabilità. La volontaria dimissione delle responsabilità del padre e la perdita di autorevolezza da parte del docente e della Chiesa, si sono riversati sulla magistratura e sulle pubbliche amministrazioni producendo una perdita di efficacia e di efficienza. La deriva libertaria della contestazione ha prodotto il nulla operativo come esito dello svuotamento di significati.
È triplice il piano, per Marcello Veneziani, della rivoluzione del sessantotto. Si tratta, infatti, di una rivoluzione di costumi, di cultura e di mentalità. Bisogna distinguere inoltre il sessantotto americano caratterizzato dal movimento pacifista per il Vietnam, da quello sovietico ed europeo. Ciò che ha resistito di più del sessantotto è l’anima anarchico-libertaria, espressa dalla rivolta contro il padre. I sessantottini hanno così dato vita a una società permissiva e, paradossalmente, intollerante. Una società senza futuro, caratterizzata dal vitalismo espresso nel sesso libero e nella trasgressione legittimati dal culto biologico e dal mito della potenza. Tutto ciò ha generato, accanto ad alcune conquiste relative ai diritti delle donne e dei lavoratori, delle fratture irreversibili espresse nella cultura dell’irresponsabilità, nella divisione generazionale, nella perdita della meritocrazia. È nel recupero della tradizione e della famiglia che va perciò rintracciata, secondo Veneziani, la controproposta: il rovesciamento, appunto, del ’68 le cui conseguenze, oggi, sono rintracciabili nella disperazione, nell’individualismo e nel consumo.
Spostando il dibattito sul piano pedagogico si tratta, di esprimere l’urgenza di un recupero dell’autorevolezza educativa. La “moratoria psicosociale” giovanile (intesa come dilazionamento delle scelte cruciali), unita alla sindrome di presentificazione espressa nello slogan del “vivere momento per momento”, rappresentano l’aspetto più eclatante dell’urgenza di testimonianze autorevoli, cioè di adulti significativi. Ma chi è l’adulto significativo? Per l’autorevole studioso Giacomo Martielli, ordinario di psicologia dello sviluppo all’Università degli Studi di Bari, l’adulto significativo è colui che aiuta i giovani a trovare le loro risposte, miscelando sapientemente direttività e non direttività. L’adulto significativo è, ancora, una persona ricca di fascino morale, virtuosa quindi, e coerente. È colui che si è posto delle domande e ne ha cercato le risposte lungo il percorso dell’esperienza di perfezionamento personale, ed è per questo in grado di indicare con autorevolezza un cammino. E’ un modello capace di suggestionare, suscitare la curiosità, lo stupore e il piacere per il sapere e l’impegno appannati nell’etica del dovere che maschera un desiderio latente di disimpegno. Se è vero che, come afferma Veneziani, il sessantotto ha creato delle fratture profonde, solo un recupero del significato (e della pratica) di genitore, educatore autorevole può contribuire a risanarle, oltre le faziosità dei dibattiti sterili su autoritarismo e antiautoritarismo. Per recuperare inoltre, come Antonio Scialpi afferma, l’agire e farne così la testimonianza dell’essere che sempre si costruisce su ragioni forti.
Annalisa Scialpi