Gli americani si «scrollano la polvere di dosso» e si rimboccano le maniche per ricostruire l’America e l’immagine dell’America in nome di valori che definiscono la nuova presidenza: «lavoro e onestà, coraggio e fair play, tolleranza e curiosità, lealtà e patriottismo». Sul podio di Capitol Hill, sotto un sole gelido, il 44esimo presidente degli Stati Uniti Barack Hussein Obama ha giurato sulla Bibbia di Abraham Lincoln e ha subito fatto appello ai suoi concittadini perchè si uniscano a lui nel far fronte a una crisi provocata «non solo dall’avidità di alcuni ma anche dal fallimento collettivo di fare scelte difficili».
«Vi dico oggi che le sfide che abbiamo di fronte sono reali, che sono gravi e sono molte. Che non saranno superate facilmente o in un breve arco di tempo, ma vi prometto che le supereremo», ha detto Obama in un messaggio improntato allo spirito bipartisan della sua Inauguration: «We are One». Il primo afro-americano eletto alla Casa Bianca ha parlato davanti a due milioni di persone assiepate ai piedi del Campidoglio, molti i neri. Ha ricordato che l’America è una nazione di cristiani, musulmani, ebrei, indù e anche non credenti (il primo capo della Casa Bianca a includere gli atei in un discorso di tale importanza) e evocato il coraggio di una nazione i cui antenati «hanno attraversato l’Oceano in cerca di una nuova vita, hanno sudato in fabbriche malsane e subito la frusta».
Figlio di un africano ma non discendente di schiavi, Obama ha promesso di muoversi «rapidamente e con coraggio» per rimettere in piedi il paese creando posti di lavoro, migliorando le scuole, promuovendo energie alternative e nuove tecnologie.
Ricordando i combattenti e i morti di Concord nella Guerra di Indipendenza, Gettysburg nella Guerra Civile, della Normandia e di Khe San in Vietnam, il successore di George W. Bush ha promesso anche che l’America «sarà amica di tutti i popoli e di tutte le nazioni» e «tornerà a essere leader nel mondo» usando il potere «con prudenza» e ispirata dalla «giustezza della causa» dopo che gli elettori americani il 4 novembre hanno fatto sapere che preferiscono «la speranza alla paura». Il terrorismo «non vincera», ha detto Obama. E all’Islam radicale il presidente il cui middle name è Hussein come quello del padre venuto dal Kenya ha teso la mano.
A «quei leader islamici nel mondo che cercano di seminare zizzania o danno all’Occidente la colpa dei mali delle loro società, tenderemo la mano se sono disposti ad aprire il pugno chiuso». Obama ha promesso agli americani un «ritiro responsabile» dall’Iraq e si è impegnato a lavorare per «una pace meritata» in Afghanistan. In una chiara frattura dalla linea dell’aministrazione Bush, ha detto che in materia di difesa respinge «la falsa scelta tra sicurezza e ideali»: gli ideali dei Padri Fondatori «sono ancora la luce del mondo, non ci rinunceremo per opportunismo», ha detto Obama i cui primi ordini esecutivi, previsti nelle prossime ore sono quello della chiusura di Guantanamo e della rinuncia a tecniche di tortura come il waterboarding.
Sicurezza e ideali: non è stata la sola falsa scelta additata dal nuovo presidente in un discorso-simbolo di una politica post-partisan. Le altre sono quelle tra «governo grande e piccolo» (come dicevano Ronald Reagan o Bill Clinton) o ancora se il mercato «sia una forza buona o cattiva». «Quel che i cinici non hanno ancora capito è che il terreno gli è franato sotto i piedi. Che gli argomenti politici stantii che ci hanno consumato tanto a lungo non valgono più. La domanda da farsi oggi non è se il governo è troppo grande o troppo piccolo ma se funziona». Né la domanda – ha aggiunto Obama – deve essere se il mercato sia una forza buona o cattiva: «Il suo potere di generare ricchezza e espandere la libertà è senza rivali, ma questa crisi ci ha ricordato che senza un occhio attento i mercati possono perdere il controllo e una nazione non può prosperare quando favorisce solo chi è prospero».
Fonte: Il Tempo