Una festa della fede, della pace e della speranza, riscaldata dal sole di Roma dopo il plumbeo cielo della vigilia. Gioiosa come al tempo dell’esistenza terrena di Karol Wojtyla. Quel cielo azzurro è apparso quasi un miracolo, una sfida alle angosce che ogni giorno attanagliano il cuore.
Un’isola di pace testimoniata da oltre un milione di uomini e donne cristiani, un messaggio rivolto ai fedeli ma offerto anche a tutti gli uomini di buona volontà, il testamento più autentico del nuovo beato. Dove il sorriso rassicurante della sua immagine, lo sguardo che proiettato lontano, è apparso per contagio sui volti dell’immensa folla, ha sconfitto l’angoscia, ha rievocato in un istante quel grido a non aver paura, a confidare sull’aiuto e sulla misericordia di Dio.
Uomini e donne che l’avevano incontrato sulle vie del mondo, o che avevano incrociato il suo sguardo, o che si erano semplicemente innamorati delle sue parole, dei suoi gesti, della sua grande umanità. È stato spesso ripetuto che la Chiesa non crea dei santi, ma ne svela la virtù che è già esistente. Ebbene, Karol Wojtyla vivente, comunicava agli altri la sua santità, la spargeva a piene mani intorno a lui. E i suoi interlocutori ne venivano travolti.
Ha commosso la commozione di Benedetto XVI, come la conferma, ripetuta e sottolineata, dell’amicizia che ha legato la sua vita a Giovanni Paolo II. Il carico che pesa sulle sue spalle non è certo scemato, semmai accresciuto.
Silvano Spaccatrosi (stralci dell’articolo)
Fonte: Agensir