– TARANTO – Tra le fila degli operai presenti domenica scorsa alla Messa celebrata all’interno dell’Ilva e andata in diretta su Rai 1 ci sono anche molti dei recenti cassintegrati. Hanno voluto portare la propria famiglia su quello che considerano tuttora il loro posto di lavoro. Per alcuni questa giornata rappresenta un segnale di apertura, di speranza, di rinnovata fiducia. Altri loro colleghi ancora in servizio, invece , hanno preferito non esserci. Alcuni per dissenso (qui dentro si protesta tutti giorni – ci dicono a denti stretti degli operai -) altri per disinteresse, altri ancora perché non si sentono accolti e compresi dalla chiesa locale. “ Spero che quest’occasione rinnovi la vicinanza tra Chiesa e mondo del lavoro – dice Vito Carrieri, che da trent’anni presta servizio all’interno dello stabilimento -. Del reparto cookeria oggi siamo in pochi. In molti sono rimasti indifferenti alla cosa. Penso che ciò accada perché non ci sentiamo molto appoggiati e sostenuti dai sacerdoti. Rispetto al passato se ne vedono pochi da noi. Io ho deciso di venire perché sono un credente, e poi ho portato con me mia moglie, mia madre, mia sorella e mio cognato. Di certo è un evento. Quando Papa Paolo VI venne in visita all’Italsider ancora non c’ero, ma fui presente nel 1989 in occasione della venuta di Giovanni Paolo II. Ricordo la Santa Messa in portineria automezzi, il pranzo insieme. Quell’incontro mi ha lasciato tracce indelebili, spero di poter dire altrettanto oggi dopo aver ascoltato le parole del nostro arcivescovo. Mi aspetto che ci auguri di risollevarci al più presto, perché la situazione è difficile”. Che il momento sia critico lo si avverte nell’aria. La stessa unica battuta rilasciata dal proprietario dell’Ilva Emilio Riva, con la sua triste ironia, ne è un chiaro segnale. “ Stiamo fermando tutti gli impianti, più compatibile di cosi?” – commenta ai pochi fortunati giornalisti che hanno la possibilità di avvicinarlo per una domanda veloce sulla questione ambientale. Giuseppe De Pace, operaio nell’altoforno da ventisette anni, segue la Messa insieme al figlio Andrea, ventuno anni. Il pensiero va ai tanti ragazzi, solo qualche anno più grandi di Andrea, che rischiano di trovarsi presto a casa. “ Io aspetto di andare in pensione, quindi per me le cose vanno bene, – afferma Giuseppe -, ma mi auguro che la situazione si aggiusti, soprattutto per i tanti giovani che lavorano nello stabilimento. E’ fuori discussione pensare che l’Ilva possa chiudere. Dove va tutta questa gente?”. Andrea si discosta dal problema occupazionale ed invece si richiama alla figura di Paolo VI. “E’ la prima volta che entro nello stabilimento dove mio padre lavora da una vita, e sono contento di essere presente oggi. Ricordare Paolo VI spero possa servire ad aprire tanti cuori alla speranza”. Ma per molti il fantasma della disoccupazione è più forte di qualsiasi ottimismo. “ Ho trentasette anni e da dieci lavoro in cookeria – racconta Francesco Galeone – . L’anno prossimo mi sposo, e ho paura di perdere il posto di lavoro. Lo stipendio mi serve”. Con lui parliamo anche di incidenti sul lavoro, che, se nella maggior parte dei casi coinvolgono padri di famiglia di certo lontani dal mondo della notte, talvolta vedono per tristi protagonisti i ragazzi. “ Le notti brave in discoteca? E’ vero, per alcuni di noi, soprattutto d’estate, è consuetudine fare le cinque e poi venire a lavoro stanchi. Siamo giovani, ci piace divertirci. Non pensiamo alle eventuali conseguenze”. Dei suoi colleghi in pochi hanno deciso di partecipare, “ perché- bisbiglia – a chi piace venire qui di domenica se non si è di turno?” Maurizio Pacilio, responsabile del servizio personale invece si dimostra soddisfatto dell’affluenza di operai ed impiegati dello stabilimento. “ Considerando il periodo che stiamo passando, ritengo che sia un bel segnale, un motivo di speranza, vedere tanta gente riunita per questa Messa. Significa che l’azienda nonostante tutto è viva”. Un amore per le sorti dell’Ilva, che ritroviamo anche nelle parole di Dino Carrano, da trent’anni impiegato all’interno del colosso dell’acciaio. “Oggi – commenta – sono felice come un padrone di casa che ha ospiti. Qui ci passo anche dieci ore al giorno ed è ormai diventata la mia seconda famiglia. Vedere tanta gente intorno al nostro vescovo mi emoziona”. Quando si tocca il problema ambiente però, le bocche sono cucite. Nessuno dice la sua. Qualcuno accenna timidamente un sorriso o alza gli occhi al cielo, in segno di rammarico, di rassegnazione o di fiducia nella provvidenza. Solo Vittorio Cecere, del reparto GRF, senza sbottonarsi troppo, ammette: “ Il problema c’è , e di certo bisogna far qualcosa”.
Marina Luzzi