Sabato 4 Marzo in Sala Consiliare è stato presentato il volume “Il Pastore Mite. Alberico Semeraro”, in occasione dell’inizio della causa di beatificazione del vescovo martinese.
Di seguito l’intervento integrale di Mons. Franco Semeraro.
E’ proprio bello, dagli accenti profetici, l’inserto del recente discorso di Papa Francesco agli operatori artistici dell’Ente dello Spettacolo in Italia: “ Il mondo travagliato dalla guerra e da tanti mali ha bisogno di segni, di opere che suscitino stupore, che lasciano trasparire le meraviglie di Dio, il quale non smette mai di amare le sue creature e di stupirsi per la loro bellezza. In un mondo sempre piu’ artificiale, dove l’uomo è circondato dalle opere delle proprie mani, il grande rischio è quello di perdere lo stupore” (20 febbraio 2023).
Alberico Semeraro, dono di Dio per le nostre comunità, è un fratello nella fede che suscita stupore: è il pastore mite come lo ha efficacemente ritratto l’arcivescovo Francesco Gioia,nella prima organica biografia di questo testimone del Vangelo.Don Alberico come mia mamma lo chiamava ricordandolo parroco a Taranto, ha attraversato tutto il ‘900 ( è nato il 19 gennaio 1903) e i primi decennio del 2000 (è morto il 24 maggio 2000).
La biografia che stasera viene presentata è una incursione seria negli archivi delle curie di Taranto e di Oria, nell’archivio personale del vescovo e nella copiosa documentazione sulla fondazione e le attività della Congregazione religiosa di diritto pontificio delle suore Oblate di Nazaret. Francesco Gioia ha riletto testimonianze di quanti hanno incontrato Alberico Semeraro, ha interrogato i non molti superstiti che lo hanno conosciuto da vicino. L’attribuzione di Pastore mite – titolo del libro – si fa chiave interpretativa della vicenda umana e cristiana di Alberico Semeraro.
Per immergermi nello stupore, nella meraviglia , che la figura di questo vescovo meridionale suscita, ho compiuto in questi pomeriggi un piccolo pellegrinaggio albericiano, un tour nei luoghi delle sue origini. Ho ripercorso quello straordinario, elegantissimo fazzoletto urbano che si srotola, scivolando dalla facciata della Basilica di san Martino, a sinistra verso Via Arco Casavola, dove al civico 80 di vi è la casa paterna della famiglia Semeraro composta dall’architetto Carmelo, dalla consorte Isabella Motolese e dai quattro figli: Alberico, Cecilia, Raffaele e Celestino. Lo spazio, nel cuore di Martina Franca, si slarga a destra, costeggiando la Chiesa Del Monte, attraverso Via Cirillo, fino al Monastero delle Agostiniane, sede dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice in via Pier Capponi, riferimento storico della educazione e della formazione cristiana dei bambini e dei ragazzi nella nostra città. E’ il luogo delle radici. Nel testamento spirituale Alberico Semeraro, alle soglie dei 90 anni, certamente con un nodo di commozione, ricorda,” l’acqua rigeneratrice del santo Battesimo nella chiesa madre della mia sempre amata città natale, Martina Franca”. Ho contato solo 96 passi dalla casa dei Semeraro alla Basilica. Altro luogo del cuore di don Alberico è la chiesa di san Domenico. Nelle settimane passate mi sono fermato a pregare sulla tomba del vescovo martinese nella cripta della Cappella di Casa Betania delle Oblate di Nazaret in Via Taranto. Salendo oggi per lo scalone d’onore di Palazzo Ducale ho riletto, nell’androne, l’elenco, inciso nel marmo, dei cittadini Patriae Decus di Martina Franca; mi suggestiona la speranza che si possa inserire anche il nome di mons. Alberico Semeraro, vescovo santo, Pastore mite!.
Quando don Alberico – ordinato presbitero a Roma l’ 11 aprile 1925 – fece ritorno qui, Martina Franca viveva una straordinaria feconda stagione di impegno culturale e sociale promossa dal clero martinese. Preti di riferimento per la comunità erano don Olindo Ruggeri, don Fedele Caroli, la memoria del giovane arciprete don Michele Guarini, ( spentosi qualche anno prima tra l’unanime compianto della città),don Francesco Magistri. Don Carlo Zito era l’assistente spirituale dello storico circolo giovanile “ Giosuè Borsi” e don Giuseppe Liuzzi, assistente del Circolo Uomini di Azione Cattolica. L’attenzione al sociale, sempre viva in don Alberico, ha qui le sue radici. Nella sua esistenza di pastore ha coniugato in maniera esponenziale e determinata il binomio Chiesa-mondo; d’altro canto da Padre Conciliare del Vaticano II è stato tra i firmatari della Costituzione Pastorale Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo.Da prete e da vescovo don Alberico è stato pastore ponte tra presbiterio e sagrato, tra chiesa e piazza, perche’ l’esperienza cristiana fosse lievito per una crescita piu’ umana, fornisse mattoni per edificare e ricostruire la città degli uomini. E le pietre per una nuova umanità le ha inducate e proposte nei numerosissimi convegni, settimane di studio in tutta Italia accanto a figure singolari come De Gasperi, La Pira, Dossetti, Andreotti.
Cosa può raccordarci alla figura del vescovo Alberico Semeraro? Cosa spinge a riproporla? Cosa ha da dire alla comunità cristiana di oggi?
Il biografo ha colto i tratti caratterizzanti, contagiosi, che riconducono all’attualità dei nostri vissut,i le scelte esistenziali del vescovo Alberico; ne individuo due a lettura terminata dalla avvincente biografia:
1 – la forza della mitezza e il coraggio del perdono,
2 – la sfida della fede come cammino anche nelle ore buie.
La mitezza è stato una scelta personale non solo per il vescovo Alberico ma per tutto il popolo fedele di Dio che egli ha servito con dedizione totale; la mitezza è una proposta alta, una nostalgia di bene per la società di oggi, per la Chiesa di oggi. Il Pastore mite aveva la vocazione ai legami, era imprenditore di fraternità: per questo egli è per noi testimone, maestro umile di attualità. Don Alberico è stato un Maestro con la lettera maiuscola, un educatore affascinante e gioioso , propositivo, ottimista, cosi’ lo ricordano i suoi “ragazzi” quando era parroco al Carmine di Taranto e quando era giovane vescovo di Oria! La sua è sta una proposta di esistenza cristiana matura, ariosa come le narrazioni evangeliche. Ha piantato semi di speranza su terreni spinosi, spesso aridi, per il germogliare di nuove stagioni. E’ stato uno di quei compagni di viaggio indimenticabili, che lasciano il segno, quello del sorriso, della genialità, dell’entusiasmo per la vita, per le mete alte.
Francesco Gioia specifica in che cosa consistesse la scelta di mitezza di Alberico Semeraro: “La sua mitezza aveva tutte le sfumature delle virtù che l’accompagnano in ogni situazione, prevaleva ora l’una ora l’altra: la gentilezza, la dolcezza, la mansuetudine, l’affabilità, la tenerezza, la pacatezza, la pace interiore, la serenità, l’autocontrollo, la pazienza, l’umiltà, la tolleranza, il rispetto, la delicatezza, la carità, la comprensione, l’ottimismo. Così si mostrava ad ogni persona che lo avvicinava”. Papa Francesco nella Lettera Apostolica Gaudete et exultate, sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, ha scritto icasticamente, commentando la beatitudine dei miti: “Reagire con mitezza, questa è la santità”.
Cosa ha da dire il Pastore mite alla Chiesa di oggi che intende scongiurare la logica della divisione, della contrapposizione? Cosa ha da dire alla cultura post moderna, alla aggressività, ai proclami arrabbiati, alle lacerazioni sociali, alla frantumazione dei rapporti interpersonali, alle solitudini dei senza voce e senza parola? Il 56° Rapporto Censis 2022 ha identificato la condizione attuale della società italiana con la metafora della malinconia sociale. È la malinconia dell’inceppamento dei meccanismi protettivi, delle solitudini urbane, dei deserti umani, dell’esistenza avara di misericordia, dell’ esclusione dell’altro. La mitezza per mons. Alberico è stata una scelta di fede, una sua personalissima maniera di conformazione a Cristo, frutto di eroismo quotidiano, tipico degli amici di Gesù, dei santi della porta accanto (E.G. 22 ).
Mi hanno suggestionato sempre i gli incontri con mons. Alberico nella sua stagione anziana, durante i suoi soggiorni a Villa Betania a Martina Franca: aveva la postura dell’uomo biblico; ne custodiva i silenzi e le parole, le difficoltà e le visioni; ne incarnava il buio dell’ignoto e le attese di promessa. In controluce scorgevo in questa persona pacifica, dolce nella parola, i volti della spiritualità biblica, Mosè, Abramo, Giobbe, Maria di Nazaret. Cristo ha afferrato nella sua interezza la vicenda umana di questo uomo di Chiesa, di questo cristiano. Proprio per questo lasciarsi collocare negli spazi della Parola rivelata il pastore mite ha fatto della sua vita un’opera straordinaria; non si è sottratto, in tutte le stagioni della sua lunga esistenza, a lasciarsi modellare da Dio che ha lavorato di cesello e il vescovo si è lasciato rifinire con la straordinaria riserva di fiducia e di pazienza che custodiva tra i suoi beni. Aveva la determinazione tipica, ostinata, che è propria nel Dna dei martinesi, anche quando il martello del cesellatore colpisce duro!
Giunto al traguardo degli 80 anni mons. Alberico chiede alla Madonna che “intervenga come a Cana, perché la povera acqua” che lui può ancora donare “diventi buon vino per il bene e la gioia di molte anime”.
Francesco Gioia ci guida a penetrare nella “nube oscura” che ha avvolto tanti anni, decenni interi, dell’intenso servizio episcopale di mons. Alberico, proprio come le notti tenebrose di Abramo,” nostro padre nella fede”,come la notte del Gesemani. Lunghe stagioni di incomprensioni, di pettegolezzi clericali, di false denunce sulla gestione dei beni della Diocesi hanno crocifisso il vescovo Alberico,ma lui non è scappato dalla croce, non si è sottratto alle umiliazioni e agli interrogatori intemperanti e ingenerosi . In un momento tra i più dolorosi della sua vicenda episcopale, nel suo Diario spirituale del 21 luglio 1979 annota: “ Affido a te, Maria,l’incarico di vedere con Gesù quello che volete fare : io fin da ora, pur tremando,vi dico Sì”. Il vescovo del sì è testimone del cristianesimo vissuto nella sua interezza.E ‘ morto povero investendo per le opere della diocesi tutto intero il suo patrimonio familiare; lui vivente è stata ristabilita la verità e la onestà dei suoi gesti e delle sue scelte pastorali.
Quando potremo leggere l’ancora inedito Diario spirituale nel quale il vescovo Alberico appuntava la sintesi di tante sue giornate, il resoconto di difficoltà e di situazioni umilianti, capiremo il bisogno di parlare con Dio che egli aveva; ci stupiremo per quante ore buie egli ha attraversato ma anche di quanta luce ha attinto dal suo amico Gesù, da Santa Maria.
Mons. Alberico appartiene alla schiera di Pastori santi, straordinari, modelli del gregge delle diocesi interne di Puglia: dal servo di Dio Giuseppe Di Donna, vescovo di Andria (1901-1952), al venerabile Fortunato Maria Farina ( 1881 – 1954),vescovo di Foggia, al sevo di Dio Nicola Riezzo (1904-1998) vescovo di Castellaneta e poi arcivescovo di Otranto, al venerabile don Tonino Bello, vescovo di Molfetta (1935-1993).
Alberico Semeraro ha sofferto per sospetti malevoli, per l’insolenza del male. Il 26 giugno 1979 – ha già lasciato la diocesi per raggiunti limiti di età- così si rivolge al Signore e lo annota nel suo diario spirituale: “Chi mi accusavano di cose che non ho fatto, che importa, o Signore? La disistima ben la merito per ciò che ho fatto di male o non ho fatto di bene. .Grazie o Signore per questa tua superiore giustizia! Grazie per quei due o tre che mi hanno umiliato anche se ignorando le cose”. Un’ostinata fiducia in Dio; una totale obbedienza e disponibilità a colmare la sua vita della stessa Passione di Cristo con la follia dei mistici. Cristo è stato il confidente unico delle ore buie di Alberico Semeraro. La ricerca archivistica dell’autore della biografia registra le intemperie e le intemperanze del male, delle dicerie, delle gratuite insinuazioni che hanno cercato ospitalità anche nei media, che a volte hanno anche suggestionato i Superiori Maggiori. Soprattutto rende partecipe il lettore della fiducia coraggiosa che il pastore colpito aveva in Dio, della sua assimilazione interiore al Maestro Crocifisso.
Papa Francesco in Gaudete et exultate scrive “ Per riconoscere quale che sia quella parola che il Signore vuole dire mediante un santo, non conviene soffermarsi su i particolari, perché lì possono esserci anche errori e cadute… Ciò che bisogna contemplare è l’insieme della sua vita, il suo intero cammino di santificazione, quella figura che riflette qualcosa di Gesù Cristo e che emerge quando si riesce a comporre il senso della totalità della sua persona “ (GE,22)
L’arcivescovo Cosmo Francesco Ruppi testimonia di Alberico Semeraro :“ Capii che il suo sorriso amabile e paterno, l’aria volte dimessa a volte pacioccona nascondeva una grande sapienza: la Sapienza della Croce che sa perdonare a chi gli vuol male e che sa vedere tutto nella prospettiva di Dio e alla luce del comandamento della carità” . Un giorno don Alberico si confida con il suo Gesù: “Se veramente vuoi Tu la mia umiliazione finale in questo mondo, fino a dopo la mia morte, se vuoi che tutti quelli che l’hanno ancora ,perdano ogni stima delle mie qualità umane e soprannaturali ed io muoia nell’ombra e nella delusione di tutti, se questo è nel progetto intimo del tuo amore e dell’amore immacolato di Maria, che cosa ti dirò io, polvere e cenere?”.
Mons. Alberico usciva da sé per affidarsi a Dio. La sfida della è credere nell’incredibile! Non era ossessionato dal desiderio di essere protagonista ad ogni costo,di “stare sul pezzo” sempre, primeggiare secondo le categorie mondane che a volte contagiano gli uomini di Chiesa ! Cosa vuole Dio da me? è stata la drammatica richiesta permanente della sua giornata di guida della comunità ecclesiale.
Tomàs Halik,un teologo praghese che in questi mesi raccoglie grandi consensi nella Chiesa per la sua voce autorevole e testimoniale, in saggio stimolante annota : “ Se vogliamo sapere qualcosa di sostanziale sula fede di un’altra persona, non domandiamole se crede o non crede in Dio, quale opinione abbia sull’esistenza di Dio e quale sia la sua appartenenza ecclesiastica o relgiosa. Rivolgiamoci a ciò che ricopre il ruolo di Dio nella sua vita ,a come crede, al modo in cui la sua fede ( nel suo mondo interiore e nelle sue relazioni) trasforma la sua vita e se- come e quando- la sua fede trasforma il mondo in cui vive” ( Pomeriggio del cristianesimo, Vita e pensiero 2021,pag.19).
Il vescovo Alberico ha sperato contro ogni speranza, ha creduto nell’incredibile, ha amato il non amabile. Il suo stupore è stato il volto di Dio dell’abbassamento. Ecco la sua testimonianza !
Il 6 ottobre 2022 rivolgendosi ai partecipanti al convegno su La santità oggi, organizzato dal Dicastero vaticano delle Cause dei Santi, Papa Francesco afferma: “La santità germoglia dalla vita concreta delle comunità cristiane. I Santi non provengono da un mondo parallelo …. E ‘importante che ogni Chiesa particolare sia attenta a cogliere e valorizzare gli esempi di vita cristiana maturati all’interno del popolo di Dio, che da sempre ha un particolare fiuto per riconoscere questi modelli di santità, testimoni straordinari del Vangelo. Occorre, pertanto, tenere in giusta considerazione il consenso della gente attorno a queste figure cristianamente esemplari… La fama sanctitatis non proviene primariamente dalla gerarchia ma dai fedeli. È il popolo di Dio il protagonista dell’opinione comune diffusa tra i fedeli circa l’integrità di vita di una persona, percepita come testimone di Cristo e delle beatitudini evangeliche”. Vogliamo imparare a conoscerlo di più Mons. Alberico, invocarlo anche; invocarlo come amico nei nostri cammini di fede; andare a pregare sulla sua tomba; chiedere la sua intercessione nelle situazioni complicate della nostra vita, delle nostre famiglie, di persone care; bussare e costringerlo ad intervenire!
“La santità è il volto più bello della Chiesa”(GE,9): è il messaggio straordinario del Pastore mite.
Franco Semeraro
4 marzo 2023
Palazzo Ducale di Martina Franca,Sala Consiliare