Non è un periodo facile per l’Italia. La disoccupazione giovanile aumenta. Aumenta anche lo sconforto di chi desidera uscire dalla sabbie mobili del precariato. Il precario diviene una immagine assurda, da cancellare. Un precario è solo. Accompagnato da speranze e titoli se va bene. Da un giudizio cattivo se ha fatto qualche errore in passato. E ho visto con i miei occhi persone condannati dal loro passato non potersi esprimere lavorativamente. Stiamo commettendo un omicidio verso le giovani generazioni. Ma nessuno se ne preoccupa. Passano però questioni controverse. Processi brevi e processi mediatici, starlette che hanno tutto e che vivono come miti. Se vi siete resi conto sulla discarica di Terzigno il primo a parlarne è stato l’Avvenire, mentre tutti erano con le orecchie e il telecomando verso Avetrana. Se lo pensate Avetrana sembra divenuta una città di orchi. Senza sapere che lo scorso anno si festeggiava per la promozione della locale squadra di III categoria in II categoria, coinvolgendo un paese intero. Che vinceva in disciplina perché pronta a fare il terzo tempo, a sorridere agli avversari. I valori però lì non hanno fatto notizia. Una tragedia familiare, terribile, ha coinvolto il nostro modo di pensare. Siamo precari anche nel ricercare i valori. Giovani che inviano curriculum on line, che provano tutte le strade, scuole che non hanno a volte il minimo per sostenersi, disabili senza docenti di sostegno, precari senza posto.
La tv non abita questo precariato invece, proponendo lo spettacolo del già visto, quasi che un televoto possa decidere il destino di due incarcerati. Non è un bello spettacolo però che si dimentichi il dramma di tanti giovani senza lavoro, di talenti messi alla porta perché ora soldi non ce ne sono, di prospettive di lasciare questo Sud che in molti amano ma che non offre soluzioni. Se il precariato fa vacillare la posizione sociale, incide pesantemente anche a livello spirituale. Le stesse relazioni si sfilacciano, l’amore dipende dalla continuità anche lavorativa, un progetto non lo si può fare. Possiamo dire quanto vogliamo che crediamo nella famiglia, ma se soldi non ce ne sono come la si crea?
Il Papa sta richiamando i giovani ad entrare in politica, non l’ho mai nascosto come desiderio. Ma se nemmeno noi cattolici conosciamo la morale sociale come potremmo mai pretenderla da chi eleggiamo?
La domanda pressante ora diviene quella della scelta fra i valori e l’economia. Come se una parte non richiamasse l’altra. Non è un bell’assistere alla rinascita dei reality che esprimono la propria deviante cultura dell’ammorbamento valoriale.
Forse bisogna tornare ad essere un po’ grilli parlanti, dei Socrate che dicono la verità di ciò che è, togliendo le maschere che celano il vero di ognuno. La liquidità di Bauman diverrebbe così fuga dallo stereotipo, dall’attesa del prossimo a essere coinvolto nella uscita da una casa, da un modello o peggio da un carcere. Siamo una società guardona che ha distrutto la bellezza dello sguardo. La mia personale paura è che si deludano i giovani anche nelle nostre aule parrocchiali. Insomma: se vedete i calendari delle associazioni parrocchiali, uniti a quelli diocesani e vicariali sembra che la vita personale fugga via senza soluzione di continuità.
Se si parla di progettualità sociale si ha quasi paura, fra i cattolici delle nostre Chiese, di sporcarsi le mani. Di essere nel mondo per renderlo degno di Dio. Non è che abbiamo perso per strada anche la serietà che ci può contraddistinguere? Io credo che si sia persa da qualche parte, anche nella Chiesa, la voglia di meravigliarsi. Di accendere quella luce, il nostro sguardo, i nostri occhi, di aprire le nostre mani agli altri.
Tornando a quella parolina magica che ci riempie la bocca: amare, ho paura che i nostri cuori siano così contriti che non seguono nemmeno la ragione ma il sentito dire. Vedo una politica fatta di calcoli. Anche le nostre associazioni sembrano spesso una lotteria per chi eleggere o uno scaricabarile, quasi che il servire oggi sia una vergogna. Riusciremo a non vergognarci di amare? A essere fermento non solo da aula di catechismo ma anche da prospettiva sociale?
Antonio Cecere