Abbiamo già scritto di quanto interessanti siano state quest’anno le celebrazioni per la Festa Patronale di novembre di San Martino, culminate lo scorso sabato 15 novembre con la presenza del Prof. Francesco Lenoci docente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, esperto in economia e finanza e uomo di profondo carisma, capace di interessarsi ai temi di importanza sociale e morale.
Dalla sua amata Martina Franca, città che lo scorso 2002 ha voluto conferirgli la massima onorificenza cittadina con il Premio Testimonianze Martinesi Patriae Decus, Lenoci ha voluto lanciare un’esortazione ai potenti della Terra affinché impegnino tutte le forze in loro possesso per il perseguimento della pace e della carità. Il suo pensiero carico di un significato morale e filosofico, senza dimenticare la profonda matrice cristiana del suo pensiero, prende spunto da altri personaggi illustri attraverso i quali la riflessione lenociana si veste di una carica significativa.
‹‹Dobbiamo – dice Lenoci – prendere spunto dal nostro Santo patrono San Martino. Il nome “Martino” deriva da Marte, dio della guerra, e significa “piccolo Marte”. Dandogli quel nome, il padre, soldato divenuto in seguito tribuno militare, si augura che Martino segua le sue orme.
Il fato gli dà una mano, in quanto nel 331 d.C. un editto dell’imperatore obbliga tutti i figli dei veterani ad arruolarsi nell’esercito. Il quindicenne Martino entra così nel corpo delle cinquecento guardie imperiali, disponendo di un cavallo e di uno schiavo.
In seguito, lo sappiamo tutti, alle porte di Amiens, Martino fa a metà del suo mantello con un povero seminudo e intirizzito dal freddo di un rigidissimo inverno. Gesù stesso, nella notte, gli appare in sogno rivestito della parte del mantello con cui aveva ricoperto il povero, a confermare la validità perenne della parola evangelica: “Ero nudo e mi avete vestito. Ogni volta che avete fatto ciò a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Che cosa bella: il nome Martino da simbolo di guerra diventa simbolo di pace e carità!›› Lenoci nel suo intervento fa più volte riferimento al nostro conterraneo e mai dimenticato Don Tonino Bello ricordando alcune sue parole: ‹‹Se lungo il percorso si introduce del veleno, non si serve la causa della pace; se nell’acqua si inseriscono additivi chimici, magari a fin di bene, ma derivanti dalle proprie impostazioni ideologiche, non si serve la causa della pace; se lungo le tubature si aprono falle, per imperizia o per superficialità o per mancanza di studio o per difetti tecnici di fondo, non si serve la causa della pace; se nei tecnici prevale il calcolo e si costruiscono le condutture in modo tale che vengano favoriti interessi di parte e l’acqua, invece che diventare bene di tutti, viene fatta ristagnare per l’irrigazione dei propri appezzamenti, non si serve la causa della pace; se gli esperti delle condutture si ritengono loro i padroni dell’acqua e non i ministri, i depositari incensurabili di questo bene di cui devono sentirsi solo i canalizzatori, non si serve la causa della pace; se i titolari della rete idrica si servono delle loro strumentazioni per razionare astutamente le dosi e schiavizzare la gente prendendola per sete, non si serve la causa della pace.
Servendo la causa della pace – continua Lenoci – si serve l’uomo: è questa la conclusione cui perviene don Tonino Bello, ammonendo circa i tanti casi in cui, per interesse o imperizia, non si serve affatto la causa della pace.
Permettetemi di fare un domanda difficile, brutta, infame, terribile: nel mondo, adesso, prevalgono concetti quali Pace, Amore e Amicizia oppure concetti quali guerra, odio e inimicizia? La risposta, per chi è dotato di telecomando e di mouse, purtroppo, è scontata. La risposta, purtroppo, è che notiziari che parlano di guerra, odio e inimicizia sono diventati familiari alla maggioranza dei popoli della terra. Dice don Tonino: “Dovremmo chiedere al Signore la grazia dell’indignazione, perché non sempre ci indigniamo”››. La pace, un messaggio forte lanciato e strillato da un uomo che ha avuto il coraggio di uscire allo scoperto e di parlare dalle navate piene di gente della Basilica di San Martino di un concetto che nostro malgrado non si riesce ancora a concretizzare. La pace – dice Lenoci – si costruisce ogni giorno con i piccoli gesti. ‹‹L’arcobaleno, con i suoi sette colori, è il simbolo della pace non solo perché appare alla fine di un temporale e segna l’inizio della “quiete dopo la tempesta”, ma perchè rappresenta la convivenza dei tanti colori dell’iride che, con la loro straordinaria differenza, formano un arco meraviglioso, capace di abbracciare tutto il cielo per poi fondersi nuovamente nell’unico raggio luminoso. Pace, secondo don Tonino Bello, non è una parola ma un vocabolario.
Pace è un cumulo di beni. È la somma delle ricchezze più grandi di cui un popolo o un individuo possa godere – e conclude dicendo – San Martino e don Tonino Bello sono esempi concreti e convincenti di come si possa attuare una cultura della condivisione e della convivialità.
Se decidiamo che non vogliamo andare a “Samarcanda”, non dobbiamo fare altro che imitare, nel nostro piccolo, l’esempio che ci hanno dato. San Martino e don Tonino Bello sono e saranno felicissimi di aiutarci››.
Di grande interesse anche le parole di Mons. Franco Semeraro che, dopo aver consegnato il Sigillo Martiniano al Prof. Lenoci, ha voluto lanciare tre proposte per la città, chiedendo al Consiglio Comunale di avviare la procedura che possa far diventare a tutti gli effetti Martina Franca Città per la pace, assieme all’istituzione di un parco della pace. Ma la proposta più impegnativa è quella di istituire una Università della pace che possa contribuire alla creazione di coscienze capaci di valorizzare questo importante sentimento nelle coscienze delle generazioni che a noi si avvicenderanno.
In Download la lezione magistrale integrale del Prof. Lenoci riportata interamente
Ottavio Cristofaro