Omelia di don Peppino Montanaro in occasione della Solennità di San Martino.
11 novembre 2020 – ore 19.00
Cari fratelli e sorelle, la festa patronale di san Martino di Tours: soldato, catecumeno, sacerdote, vescovo, dedito non solo alle attività caritative, come ci ricorda la raffigurazione classica di lui a cavallo che taglia il proprio mantello per darne metà al povero intirizzito dal freddo, stupendamente riprodotta nella finestra istoriata che vedete in alto del presbiterio, ma consacrato all’annuncio e alla formazione della fede, ci riporta alla riscoperta del suo patrocinio e della nostra identità cristiana.
- Il nostro Oggi
Viviamo immersi in una crisi etico-culturale che si innesta in un periodo di grande sofferenza che investe la nostra città e il mondo intero, che tocca non solo l’economia, ma raggiunge anche la politica, il costume sociale, la fede stessa. È quasi un anno in cui tutti costatiamo l’angoscia, le diseguaglianze e le povertà sempre più diffuse a causa della pandemia. Con diverse giustificazioni tutto gira intorno ad una cultura consumistica ed individualistica, che intacca l’integrità dei beni collettivi. Nella nostra stessa comunità la dimensione sociale della fede viene trascurata e si privilegia l’aspetto caritativo assistenziale. Cosa giusta e opportuna, ma non risponde chiaramente alla personalità del santo.
Comunque, queste riflessioni non vogliono essere una lettura approfondita e completa di ciò che è davanti ai nostri occhi, di ciò che accade nella nostra vita.
La festa del nostro Patrono san Martino, invece, porta luce, indica la via di un nuovo pensiero, di una nuova cultura, di una evangelizzazione più missionaria, a cui diverse volte ci ha invitati papa Francesco con i suoi preziosi e profetici interventi. Anche il nostro Arcivescovo Filippo, nell’ultimo intervento autorevole all’inizio dell’anno pastorale 2020-2021, ha ribadito la necessità di una riscoperta di una fede vissuta e concreta. Gloriarsi del patrocinio di san Martino, uomo dalla personalità completa e complessa, è per noi tutti dono e impegno.
- Quali percorsi ci vengono indicati dalla sua eccelsa figura?
In primo luogo, ritengo che s. Martino ci dica di riproporre l’annuncio della vera fede, sì, la vera fede. Martino al suo tempo dovette annunciare e “combattere, da buon soldato”, coloro che ritenevano Gesù un semplice uomo, straordinario sì, ma un semplice uomo, figlio di Maria e di Giuseppe, e non Figlio di Dio. Per questo Martino ebbe da soffrire molto, ma non indietreggiò, confortato dall’azione dello Spirito e da uomini intrepidi come lui. Uno su tutti s. Ilario. Annunciare Gesù Cristo, secondo le parole di s. Paolo, “non era per lui un vanto ma un dovere” (1 Cor 9,16), perché riteneva che soltanto Gesù Cristo offriva, ed offre, ad ogni uomo la modalità di vivere pienamente da uomini e da credenti. È Gesù Cristo la chiave di volta della storia (cfr Benedetto XVI, 28 marzo 2008), principio e fine di tutto (cfr Apc 1,8). S. Martino ha manifestato tutto ciò con la sua vita: soltanto Gesù Cristo gli ha “trasfigurato” la sua esistenza. Il messaggio per noi: soltanto Gesù Cristo offre senso al nostro soffrire e al nostro continuo correre per le strade della nostra città.
- Un secondo percorso non alternativo al precedente è il paragrafo riportato nella Vita scritta da Sulpicio Severo dove spicca in modo autorevole il suo vissuto umano. Sin dalla sua giovinezza, pur non essendo ancora battezzato, la sua vita profumava di grande umanità. Scrive lo storico:
- “A quindici anni… in servizio militare, si accontentò di prendere con sé un solo schiavo (mentre secondo le disposizioni vigenti era consentito ad ogni soldato di tenere due schiavi!!!), che tuttavia, per un capovolgimento dei ruoli, egli, nonostante fosse il padrone, serviva al punto da togliergli spesso le scarpe e pulirgliele, mangiare insieme a lui e servirlo a tavola.
- Prima di ricevere il battesimo per circa tre anni Martino fu sotto le armi, ma non si fece contaminare dai vizi…
- Nei confronti dei suoi commilitoni grande era la sua benevolenza e ammirevole il suo affetto; quanto alla sua pazienza ed alla sua umiltà, esse erano a dir poco sovrumane.
- Appare poi superfluo lodare la sobrietà che lo caratterizzava.
- Il Severo conclude così il cap. II°: « pur non essendo stato rigenerato ancora in Cristo, si comportava come un candidato al battesimo mediante le buone opere che compiva: assistere i malati, portare soccorso agli infelici, nutrire i bisognosi, vestire gli ignudi, e del suo soldo militare non riservare per sé che il necessario per il pane quotidiano. Già da allora, poiché non era sordo agli insegnamenti del vangelo, non pensava all’indomani».
Ci porta via molto tempo se riprendiamo il testo citato e rintracciamo le tante virtù “umane” dell’adolescente, del giovane e dell’adulto Martino. È importante, però, evidenziare il suo percorso di crescita umana sin dalla tenera età, con un papà severo, con una mamma simile alle mamme di oggi, con una istituzione militare dalle leggi ferre,….
- Se riusciremo ad imitare san Martino, innamorato di Cristo e del suo Vangelo, apparirà chiaro a tutti noi quanto il cristianesimo sia rivoluzionariorispetto ai modi contemporanei di dire e di fare. San Martino ci dice che il Vangelo trasforma l’uomo e la società. Basti pensare a quanto ha fatto nella società dell’epoca: richiamava tutti a vivere la Parola nella concretezza di vita. Così la fede, la nostra povera fede, diventa matura, adulta, quando ci impegna a «redimere» e a trasfigurare, ribadisce il nostro Vescovo nell’omelia del 12 settembre u.s., con l’amore di Cristo (cfr il Vescovo parla di compassione, e del prendersi cura!!!) la società nella quale si vive e si lotta, si spera e si soffre, nella quale le relazioni umane vengono, a volte, inquinate dall’egoismo e dalla apparenza.
- Cari fratelli e sorelle, come insegna il gesto dell’offerta dell’olio vissuto ieri sera, non deve venir meno l’olio delle nostre lampade, non deve spegnersi il nostro fuoco per il Vangelo, il nostro ardore, la luce delle buone opere, come descritte nella Prima lettura.
Essere lampade ardenti che emanano una luce, anche fioca, ma quella che si emana è la luce di Cristo che si diffonde, la luce dei santi, la luce di quell’impegno di fedeltà concreto, nascosto, ritenuto superfluo e insignificante da molti, ma che supera il tempo in cui si vive perché riempito dall’Eterno senza tempo.
San Martino ci lascia una testimonianza eccezionale di appartenenza a Cristo. La sua totale disponibilità a Cristo è per noi tutti un modello e un incoraggiamento: annunciare il Vangelo, proprio come fece Lui, “in ogni occasione opportuna e non opportuna” (2Tm 4,2)!
La Chiesa ci ha fatto pregare così all’inizio della santa messa: «O Dio, che hai fatto risplendere la tua gloria nella vita e nella morte del vescovo san Martino, rinnova in noi i prodigi della tua grazia, perché né morte né vita ci possano mai separare dal tuo amore». È l’impegno che vogliamo dalla Provvidenza divina: rinnova i tuoi prodigi, Padre santo… Questo, Padre santo, ti chiediamo con fiducia e fa’ che “né morte né vita ci possano mai separare dal tuo amore”.
E nella preghiera sulle offerte prima del Santo, fra poco diremo: Padre santo, fa’ che «in mezzo alla vicende liete e tristi della vita guida i nostri giorni nella tua pace».
In questo anno sono state, e sono, più le vicende tristi che dimorano nel nostro cuore, ma Tu, Padre santo, guidaci lo stesso nella tua pace per intercessione di San Martino e di Santa Comasia.