La malattia non guarda in faccia a nessuno. Non conta le monete che si hanno nel portafoglio, se ne frega del mestiere che fai, del colore della pelle, della lingua che parli, colpisce i buoni e i cattivi. La malattia è forse la cosa più democratica che esiste. È la lezione più grande che dovremmo imparare. Non è una punizione divina o una condanna da espiare su questa terra, la malattia è una cosa che può colpire chiunque. In questi giorni è argomento finito sulla bocca di tutti, la circostanza di una cena in un locale, a seguito della quale diversi invitati sarebbero risultati positivi al covid. I fatti risalgono a un paio di settimane fa, prima degli ultimi Dpcm, ma non risultano accertate violazioni dei protocolli, così come alcuni presenti e invitati riferiscono che quella cena si sarebbe svolta in piena sicurezza e con il rispetto delle distanze.
Fatto sta che, purtroppo, sono risultati positivi al covid diversi invitati, che sarebbero riconducibili a quella catena di contagio. Oltre al virus, la conseguenza che si è scatenata è stata la voglia di conoscere i nomi degli invitati. Una ricerca spasmodica dei “colpevoli”, una caccia all’untore, quasi come a pensare che quella gente se la sia andata a cercare, con una serie di dicerie e pettogolezzi diventati argomento di discussione sulle chat e sui social. Davvero disgustoso un messaggio che è circolato su whatsapp e che ha fatto il giro della città con l’elenco delle attività commerciali e delle aziende in cui sarebbero stati riscontrati casi di positività. Degli autori di questi messaggi colpisce non tanto la paura legittima e naturale di essere entrati in contatto con i positivi, quanto la freddezza con cui si parla di persone e concittadini rimasti vittima di questo virus che colpisce l’apparato respiratorio, ma che ammazza spesso la nostra umanità, il nostro essere persone tutte uguali di fronte alla malattia.
Le colonne di questo giornale avrebbero potuto tranquillamente sorvolare su questo argomento, se non riportando la cronaca dei fatti come fatto nei giorni scorsi, ma ci è sembrato doveroso intervenire per un richiamo alla sussidiarietà che ha sempre caratterizzato i martinesi.
Articolo di Ottavio Cristofaro pubblicato sull’edizione di domenica 8 novembre de La Gazzetta del Mezzogiorno