La settimana sociale come momento di speranza – Lo Stradone

La settimana sociale come momento di speranza

Un’agenda per il Paese. Un’agenda di speranza. Di solito l’agenda è qualcosa che porti con te, che utilizzi quando le date ti si affollano nella mente, quando il ricordo ti fa difetto e quando un progetto richiede una piccola postilla su un calendarietto. I giovani però non sono un calendario. Non possono essere messi in calendario. Sono loro, al massimo, a poterlo redigere. A poterlo costruire con piccole idee e grandi passioni. La Settimana Sociale è un dono inaspettato.
Essere laici esige una dichiarata disponibilità a vivere la civitas, a non fermarsi ad ammirare passivamente un paesaggio ma a farne parte integrante. Queste esperienze, specie se ti cadono addosso inaspettate, te le devi godere fino all’ultima goccia di sudore. I laboratori, gli sguardi, gli incontri, i dialoghi ti sorpassano.
La scelta da fare, al bivio fra la sussidiarietà e la speranza, è quella della persona.
In politica, stiamoci attenti, di cattolici veri ce ne sono pochi, di politici che si professano tali sono tanti. Seguire Cristo è imitarlo, ma anche riconoscerlo. Un filosofo cattolico come Jean Guitton ebbe a sottolineare con la frase “ ama Dio è un richiamo verticale; ama il tuo prossimo è un richiamo orizzontale” proprio questo non esiste solo un rapporto verticale, per così dire ascetico con il divino, ma anche un rapporto orizzontale nei confronti dell’altro. Ogni coscienza umana si presenta, in questo contesto, un punto di riferimento. E si costruisce la storia. L’insegnamento della storia nella scuola odierna è ancora difficile.
La storia sociale, tanto cara ad autori come quelli degli Annales, tristemente è lasciata da parte per seguire teorie economiche che mettono da parte la storia fatta dalle persone, dalle tradizioni popolari. Eppure insegnare storia nelle classi del nostro tempo richiede sempre più la capacità di sintesi del docente, la sottigliezza del filosofo, la capacità di interazione dello psicologo di gruppo, la bellezza dell’investigare come i personaggi di Conan Doyle, la curiosità del giornalista, l’esame, quasi in stile gossip, degli autori. Il passato parla al presente, gli dà forza. Parafrasando al negativo Hegel, non ci si può attendere che le vacche di una notte si possano distinguere nei loro colori alla luce del giorno. Si deve invece aspettare l’alba affinchè questa illumini i grigi del mondo. Certamente parlare del grigio presente nel mondo significa non fermarsi.
Quante volte si sussiste nella’apatia di chi afferma che tutto passerà? Non bisogna passare forse dalle forche caudine del dimenticarsi di sé perché c’è l’altro al nostro fianco? Il primo passo per parlare di politica è questo. Non c’è dubbio che nell’amore si costruisca la civiltà. Non c’è dubbio che nella civiltà appaiano l’umanità e il singolo come strada della politica, con un uomo cartello stradale sulla via della democrazia. Francisco de Vitoria, giusnaturalista spagnolo affermava che di tutto si può negare l’uomo, tranne che della libertà. Una libertà fatta di garanzie, anche rispetto a chi evade da una prigione. Non si colpirà ulteriormente un carcerato perché in cerca di libertà. Lo si condannerà, dopo averlo riarrestato, alla sentenza già avuta.
Il tempo potrà correre, ma la verità delle idee resta. Il Forum di Pastorale Giovanile in vista della Settimana sociale ha avuto un merito. Quello di richiamare nella capitale la sicurezza del futuro nella palude del presente. Lo vivi quando parli di bioetica, quando riconosci che un dato che nel tuo Sud appare distruttivo in altre parti d’Italia è stato fatto valere come punto di forza e viceversa.
L’Italia nel 1861 era fatta. L’italiano libero forse esisteva già, esisteva come ideale. Non è il tempo di un non expedit che i laici cattolici devono mettersi al collo come macina. Non è il tempo di un laissez faire, non è l’attesa che ci fa rendere operativi.
Gesù vinse la paura. Quella dell’Orto poco prima di essere chiamato al sacrificio. Siamo capaci di avere il coraggio di parlare di bioetica, di sussidiarietà senza suscitare il riso degli altri che attendono il parlare di pace, amore, lustrini, reality e Voyager? Ne abbiamo paura, ne abbiamo il terrore.
Il Paese Italia, capace di unirsi nei mondiali di calcio e capace di dividersi nei derby cittadini, il Paese che dimentica L’Aquila per applaudire coloro che escono dal grande fardello del Grande Fratello.
Il ponte, non creato dalle cementificazioni del clientelismo, dalle strizzate d’occhio alla parvenza d’ordine che significa passività è la nostra vittoria. Non siamo capaci di sognare una città dove l’asfalto venga riempito di speranza. E chi è stato vinto dalla speranza è colui che è riuscito a colmarlo nelle sue buche. Il tempo delle scommesse è ormai prossimo.
La grande aspirazione di Edmund Husserl, scriveva il filosofo Wojtyla, era una fenomenologia capace di formare una comunità di ricerca, per affrontare con diversi approcci complementari il grande mondo dell’uomo e della vita. Come cattolici ne siamo ancora capaci? O la storia ci scivola addosso rendendo vano il sacrificio di Colui che fa la storia?

Antonio Cecere