Sulla nuova legge elettorale per le europee comincia la trattativa. Il testo della riforma lascia l’aula della Camera per tornare in commissione Affari costituzionali. A darne l’annuncio ieri è stato Silvio Berlusconi, che poco prima aveva incontrato il presidente della Camera Gianfranco Fini. Un pranzo di lavoro che è servito anche a chiarire le divergenze emerse nella maggioranza, e in particolare dentro An, sul capitolo preferenze.
Berlusconi ribadisce la linea del dialogo. Il ritorno in commissione – confermato poi dalla conferenza dei capigruppo – è funzionale, spiega il premier, a cercare quella convergenza sulle regole «richiesta dal Capo dello Stato». Del resto sulle europee – ci ha tenuto a sottolineare – «non c’è nessun Ddl del governo». E dunque – ha ripetuto anche ieri – «se si trova un’intesa bene, altrimenti a noi va benissimo questa legge».
La pensa così anche Walter Veltroni. Al segretario del Pd non è sfuggito che l’ipotesi di mantenere l’attuale sistema elettorale (proporzionale senza sbarramento e con preferenze) è una sorta di sfida ai democratici, i quali potrebbero vedersi erodere consensi dal ritorno nella gara elettorale del Prc. Ma Veltroni spegne il cerino passatogli dal Cavaliere: «Se il pendant di questa affermazione – la legge rimane così com’è – da parte del presidente del Consiglio, è una sorta di minaccia per me va bene, non c’è nessun problema». Parole che non convincono la maggioranza. «Il sistema attuale crea più problemi a Veltroni», conferma il capogruppo del Pdl alla Camera Cicchitto. E il suo omologo al Senato Gasparri rincara: «Per Veltroni sarà un suicidio, andrà sotto il 30%».
A cantar vittoria è invece Pierferdinando Casini. Del mantenimento delle preferenze l’Udc ne ha fatto per prima una bandiera sotto la quale si sono schierati anche esponenti della maggioranza come l’Mpa di Lombardo, che ieri mattina hanno partecipato assieme al Pd e all’Idv di Di Pietro all’assemblea degli autoconvocati da cui era partita la richiesta del ritorno in commissione.
I margini di trattativa restano però stretti. Allo stato sembra prevalere lo scetticismo in entrambi i fronti. Il ritorno in Commissione è infatti da molti visto come un preludio alla definitiva messa in soffitta della riforma, che nel frattempo è stata cancellata dal calendario dell’Aula della Camera. Sullo sbarramento al 5% il Pdl non demorde mentre il Pd lo vorrebbe ridurre al 3%. Ancora più spinoso il tema delle preferenze. Berlusconi ne ha fatta una battaglia di principio. Ma c’è un’interpretazione più maliziosa che circola nel Transatlantico. Ovvero che sotto le bandiere del Pdl, gli uomini di An – e le correnti che la compongono – avrebbero maggiori chance di emergere rispetto ai loro cugini di Fi. E in effetti un gruppo consistente di aennini non si sono fatti scrupolo di esprimere pubblicamente il loro dissenso, presentando un emedamento a favore del mantenimento di due preferenze. Per lo più sono parlamentari che fanno capo alla corrente guidata dal sindaco di Roma Gianni Alemanno. Ma nel partito di Fini sono in molti a pensarla così. Non a caso ieri Ignazio la Russa, reggente del partito, al termine dell’esecutivo ha sottolineato che il tema della legge elettorale non rientrava «tra quelli centrali del programma di governo» e che dunque «non è necessario incattivirsi su una legge del genere». L’importante «è non perdere tempo», chiosa il leghista Roberto Calderoli, che vede già l’aula di Montecitorio libera da intoppi e pronta a concentrarsi sul federalismo fiscale.
Barbara Fiammeri
Fonte: Il Sole 24 ore