La pielonefrite è una malattia infiammatoria del rene e della pelvi, acuta o cronica, che colpisce più frequentemente le donne per la conformazione dell’uretra anatomicamente più corta rispetto l’uomo. L’incidenza stimata è di 4 individui ogni 1000 adulti asintomatici.
L’origine della pielonefrite è batterica e la colonizzazione dei patogeni può avvenire tramite via ascendente dalla vescica, quando i microrganismi risalgono nell’uretra, fino al rene, via discendente ematica attraverso il circolo sanguigno e via discendente linfatica.
I microrganismi coinvolti nella pielonefrite sono solitamente gli stessi responsabili delle infezioni del tratto urinario, dell’apparato genitale e gastro-enterico (E.coli, Klebsiella., Proteus, Enterococcus, ecc.), ma il processo infettivo dipende dalla carica, dei microrganismi e dall’efficacia delle difese immunitarie dell’ospite.
Alcuni fattori “critici” che predispongono il paziente alla diffusione patogena sono la presenza di calcoli o di altre ostruzioni renali, immunodepressione, alterazioni anatomiche-funzionali, incompleto svuotamento vescicale, patologie predisponenti (diabete mellito), patologie neurologiche ecc.
Tuttavia un paziente affetto da pielonefrite acuta presenta febbre elevata, dolori dorsali nella zona lombare, minzione dolorosa, sofferenza alla pressione della regione renale, nausea e segni di infezione del basso tratto urinario. La prognosi della forma acuta è positiva: se si ricorre alla terapia adeguata. Invece, la pielonefrite cronica è una grave forma d’infiammazione caratterizzata da infiltrazione infiammatoria in cui il processo patologico porta alla progressiva atrofia dell’organo e nei casi avanzati può comparire insufficienza renale.
La diagnosi clinica di pielonefrite cronica non è facile; infatti, se gli accertamenti diagnostici sono eseguiti in una fase di latenza della malattia, è possibile riscontrare valori normali.
I pazienti possono manifestare febbre alta e brividi, dolore al fianco, e nella parte bassa della schiena, una maggiore frequenza della minzione, dolore, sensazione di bruciore, perdita di appetito e affaticamento generale.
L’approccio diagnostico si basa sulla ricerca dell’agente eziologico nel campione di urina, sull’emocoltura, sui markers infiammatori come presenza della Proteina C reattiva ed elevata velocità di sedimentazione degli eritrociti (VES). A questo si associano degli esami di imaging (TAC, ECG ecc.) esplicativi sullo stato generale di diffusione dei focolai patogeni.
Per la cura, la patologia richiede una terapia antibiotica che, se tempestiva, porta alla guarigione senza conseguenze, anche se solitamente molto lunga e con una prima fase di ospedalizzazione e somministrazione di farmaci endovena.
Gli antibiotici sono il trattamento di prima linea, di solito, i segni e i sintomi iniziano a scomparire entro pochi giorni, ma è necessario continuare la terapia antibiotica fino a completare il ciclo di trattamento, allo scopo di assicurare che l’infezione sia completamente eliminata.
In breve, le opzioni più comunemente usate includono fluorochinoloni (es, ciprofloxacina), antibiotici beta-lattamici (es. amoxicillina o una cefalosporina) e trimetoprim (o cotrimoxazolo). Bisogna, inoltre, che il paziente sia particolarmente attento a evitare fenomeni di disidratazione, bevendo molti liquidi e aiutando quindi l’eliminazione degli agenti patogeni dal tratto urinario.
In caso di ascessi renali gravi, non risolvibili con la cura antibiotica, può essere necessario l’intervento chirurgico.
Da un punto di vista psicosomatico i reni sono collegati all’idea di equilibrio: una mediazione quotidiana tra buono e cattivo, utile e inutile, salutare e nocivo: sono filtri per il nostro organismo, avere cura di noi stessi è il primo passo per realizzare l’equilibrio perfetto!
Dott.ssa Emanuela Saracino – Ricercatrice CNR