TARANTO – Rappresentare l’angoscia, la paura, la morte assurda e ingiusta è un’impresa non facile che tuttavia riesce brillantemente nell’ultimo capolavoro del Teatro della fede, “Santa delle perseguitate”, del regista Alfredo Traversa, che è anche autore e attore dell’evento teatrale, portato a Taranto, dopo il debutto romano, presso il Teatro Turoldo, nell’ambito della rassegna teatrale “Follinscena” di Pasquale Strippoli. Semplice, sensibile, vivace, innamorata di Dio. Così si può descrivere Santa Scorese, giovane nata a Bari nel 1968 e vissuta a Palo del Colle, dove viene uccisa nel ‘91, nominata Serva di Dio dall’Arcivescovo di Bari Mons. Magrassi, in causa di beatificazione come “martire per la dignità della donna”. L’opera, messa in scena sapientemente dagli attori della compagnia in un atto unico, nasce dalla lettura del diario di Santa e si trasforma sul palcoscenico in una sorta di “oratorio”, dove gli interpreti, su pedane bianche, vestiti di nero e con in mano un diario, quello di Santa appunto, si alternano nella declamazione degli scritti della protagonista, intervallati dalla proiezione su un telo bianco al centro del palco di immagini riguardanti alcuni momenti della vita di Santa (nel video, Simona Quaranta). Sul palco, ad alternarsi nell’interpretazione, ricca di pathos, della giovane ci sono Annamaria Caliandro e Carmela Coviello. Suggestive anche le interpretazioni degli altri attori: Tiziana Risolo, Tano Chiari, Rino Massafra, Claudio De Vittorio, che interpretano di volta in volta gli amici di Santa, il compagno “comunista e ateo” colpito dalla tenacia di Santa, l’otorinolaringoiatra chiamato d’urgenza dalla sala rianimazione del Policlinico di Bari la sera del 15 marzo 1991, che nota con stupore la serenità e lucidità della giovane pur lacerata dalle ferite, prima di spegnersi all’alba dell’indomani. Infine, Alfredo Traversa, nel ruolo del “matto”, che si definisce “Figlio di Dio” o “Padreterno”. Santa ha solo 23 anni quando viene uccisa con tredici coltellate, sotto casa, sotto gli occhi increduli dei genitori, dopo esser tornata da un incontro di catechesi in parrocchia. Il giovane era uno schizofrenico paranoico che l’assillava già da tre anni con lettere, minacce e biglietti osceni lasciati sul parabrezza dell’auto. Lei era vittima di quello che oggi è riconosciuto come reato di “stalking”, parola inglese da “to stalk” che significa “perseguitare”, entrata ormai nel vocabolario comune dopo la legge del gennaio 2009, con cui il Governo italiano, adeguandosi alla Legislazione europea, riconosce e punisce tale pratica. Lo psicopatico perseguita Santa indisturbato sia perché la madre, nonostante le segnalazioni del reparto di Igiene Mentale, si rifiutava di farlo curare, sia perché, nonostante le denunce dei familiari, non esisteva allora una legge che tutelasse le donne “perseguitate”. Toccanti i momenti in cui la disperazione di Santa rivive sul palco: “Come posso continuare la mia vita in questo modo? Sento che le mie forze vengono meno”. Lo spettatore è travolto, in una voragine di sentimenti ed emozioni, dalla fede profonda della giovane, che esplode di gioia e arde d’amore quando parla di Dio e della Madonna, cui offre la sua vita, soprattutto dopo l’adesione alla Milizia dell’Immacolata presso le Missionarie dell’Immacolata “P.Kolbe” e che invoca, esaudita, anche quando riceve la prima aggressione sessuale nel febbraio 1989. Ma Santa perdona e ama aiutare gli altri: è volontaria della Croce Rossa e dopo il liceo classico, si iscrive a Medicina, salvo poi cambiare per Pedagogia. Intensa e combattuta la sua ricerca vocazionale, ostacolata all’inizio dai suoi genitori, poi sfociata serenamente nella scelta di farsi suora laica, sognando orizzonti missionari. Ma è proprio allora che il male stronca i suoi sogni. Dal palco arriva con violenza la brutalità delle parole del matto, ossessionato sessualmente dalla “bella ragazza di chiesa” al punto da ucciderla e arrivato a concepire, anche dopo la sua morte, un progetto di ingegneria genetica, con cui riportare in vita Santa fecondando la sorella. Una sorella più grande, compagna di avventure e di fede, Rosa Maria, che, nel corso della conferenza di presentazione dell’evento, ha ricordato con grande lucidità i bei momenti condivisi. Cresciute insieme alla scuola di don Bosco, le “Marta e Maria del Vangelo”, come lei stessa ha amato definire lei e la sorella, erano legatissime. E’ la sorella che sceglie il vestitino da far indossare a Santa dopo la sua morte: rosso, come segno del martirio, in memoria di un episodio che stava a cuore alla stessa Santa, della vita di S.Massimiliano Kolbe, cui apparve da piccolo la Beata Vergine a proporgli la corona bianca, la purezza, o quella rossa, del martirio. La scena finale vede gli interpreti riuniti in semicerchio attorno a un vestitino rosso, per richiamare quello indossato da Santa e il suo martirio. “La straordinarietà di mia sorella” – ha dichiarato Rosa Maria, anche ospite, assieme ai genitori, della trasmissione “I Fatti Vostri” di Raidue e di “Unomattina” su Raiuno – “risiedeva nel fatto che lei era una di noi, viveva la sua quotidianità aderendo agli ideali del Vangelo, mettendosi in gioco ogni giorno per amore di Qualcuno di più grande”. Santa era piena di vita e di voglia di vivere:”Ho solo 23 anni, non posso morire così!”. Forte nella fede, nonostante le tribolazioni:”Se succede qualcosa, sappia che io scelgo Dio!”, pronunciò al suo confessore, pochi giorni prima di morire, dopo l’ennesima minaccia. Santa di nome e di fatto, desiderosa di raggiungere, come un’aquila, “le vette più alte in cui dimora Dio”.
Claudia Spaziani